agosto 19, 2007

Dolcemente dispotismo



La nascita di una dittatura, il lento ma inesorabile cristallizzarsi di un nuovo dispotismo rivoluzionario: basta guardare alla Caracas di Hugo Chávez per capire in tempo come si forma l'ennesima tirannia animata da propositi palingenetici di giustizia sociale. Una dittatura che non indigna perché non si presenta con i tratti lugubri dei militari golpisti le cui gesta hanno infestato la storia latino-americana. Un dispotismo solare, caldo, esotico. Un nuovo castrismo che incatena il Venezuela ma che elettrizza i cuori dei sempre inappagati turisti della rivoluzione mondiale. Ora il caudillo di Caracas proclama un ritocco costituzionale che semplicemente gli frutterebbe la rielezione a vita come incontrastato presidente del Venezuela.Abroga de iure la proprietà privata già minata da un’ondata di nazionalizzazioni e da un uso spregiudicato dell’arma del petrolio, brandita alla maniera non di una ricchezza economicamadi una risorsa politica per accreditarsi come avanguardia della rivoluzione mondiale. Si candida ad autorità suprema della banca nazionale, concentrando sulla sua figura un agglomerato di potere finanziario e politico destinato a schiacciare ogni tentativo di opposizione.Nessuno sdegno internazionale per l’uomo che sta disegnando a suo piacimento l’architettura istituzionale di una democrazia che sta soffocando nell’indifferenza generale. Per il dittatore con la smania di entrare nell’eletto gruppo degli «Stati canaglia», vantando un rapporto privilegiato con l’estremismo di Ahmadinejad. Per la nuova bandiera di una mitologia rivoluzionaria che non vuole comprendere il significato delle televisioni scomode imbavagliate in Venezuela e ridotte al silenzio, per gli squadroni paramilitari chiamati a seminare il terrore nei quartieri riottosi di Caracas, appoggiate e assecondate dalle autorità che rispondono soltanto a lui, a Hugo Chávez. Al Chávez che sembra incarnare alla perfezione lo stereotipo dell’agitatore antimperialista e che per questo alimenta attorno alle sue malefatte un’atmosfera di indulgenza, di bonaria accondiscendenza, quando non addirittura di adesione alle sue invettive antiamericane.Sembrano quasi innocui il suo istrionismo oratorio, la sua figura così poco marziale eppure trasfigurata nelle forme di un nuovo condottiero rivoluzionario che quando deve annunciare al mondo i suoi propositi di dittatore a vita lo fa citando Toni Negri, il pensatore della «moltitudine» bizzarramente equiparato nientemeno che ad Aristotele, Machiavelli e Antonio Gramsci.Ma per un Toni Negri che va a Caracas alla ricerca del nuovo Eldorado rivoluzionario, quanta solitudine attorno al Mario Vargas Llosa che identifica in Chávez il nuovo dittatore destinato a perpetuare la maledizione latino-americana. E quanta scarsa voglia di capire perché si vada a finire sempre allo stesso modo, da Cuba al Nicaragua sandinista al Venezuela di Chávez. Di capire qual è la dinamica dell’autoritarismo rivoluzionario che porta passo dopo passo alla sepoltura di ogni parvenza di democrazia e di tutela dei diritti civili. E di comprendere la chiave di un processo degenerativo che è inscritto negli stessi cromosomi dell’avventura rivoluzionaria e anti-imperialista anche se ogni volta adduce circostanze e pretesti i più diversi per giustificare il giro di vite tirannico, il perfezionamento dell’apparato repressivo, la sterzata autoritaria che dapprima stringe in modo asfissiante ogni forma di presenza democratica e poi si compie nel solito trionfo di prigioni piene di dissidenti, censura totale sui mezzi di informazione, annichilimento di ogni genere di resistenza civile. E tutto attraverso l’ossessivo ricorso alla mobilitazione «di massa», alla galvanizzazione populista dei pasdaran della rivoluzione, già eccitati per aver trovato un leader capace di sfidare con la sua demagogia tribunizia i «potenti della terra».Ecco perché il Venezuela di Chávez assume il valore di un laboratorio politico, di un esperimento che, al prezzo della vittimizzazione dei venezuelani, offre una chiave privilegiata per penetrare nei segreti del dispotismo «socialista»: la vecchia storia che si ripresenta rimpannucciandosi con nuove vesti.

(° da Corriere della Sera)

Pierluigi Battista

2 comentarios:

Anónimo dijo...

Bell'articolo, incredibile la faccia tosta di Toni Negri: ma non dovrebbe essere in galera?

Anónimo dijo...

Ma come, non lo sai che in Italia in galera stanno quelli che non hanno commesso molto... gli assassini vengono subito liberati grazie a Prodi.