julio 27, 2007

Il Venezuela di Alejandro




Libertad en Venezuela

Alejandro C., prima di diventare un oppositore dell’attuale governo venezuelano, fu il fondatore del movimento ‘Quinta República’. Prese le distanze dal governo chavista dopo gli incresciosi eventi che nell’aprile del 2002 si conclusero con la morte di non pochi pacifici manifestanti.
Molti gli amici e i conoscenti che mi avevano parlato di Alejandro, un uomo che rivendicava il diritto ad essere liberi in Venezuela. Finalmente riuscii ad entrare in contatto con lui e,grazie all’aiuto di un amico, ottenni un appuntamento al cafetìn ‘Las tres esquinas’ ad Altamira, una zona non lontana da quella dove tre anni prima si erano svolti i fatti. Sedemmo ad un tavolino per circa un’ora. Mi disse subito che i venezuelani sentivano la necessità di chiedere la revoca del mandato presidenziale. Diritto che veniva esercitato in maniera civile e pacifica.
Gli chiesi: “tu perché ritieni che il presidente debba essere revocato?” Non avevo nemmeno finito la frase che vidi Alejandro sgranare gli occhi come  se cercasse di mettere a fuoco il mio sguardo e sono sicuro che per un attimo ebbe il timore che anch’io potessi essere un traditore e mi rispose così: “ le ragioni sono molte e lunghe da spiegare, il motivo principale è che questo governo ha fallito in tutto. La corruzione è cresciuta, la povertà è aumentata, la disoccupazione raddoppiata, l’insicurezza sociale sempre più preoccupante e i servizi pubblici bivaccano nell’abbandono più completo”. Mi disse anche che i discorsi del presidente in qualche modo producevano violenza e che citando continuamente le parole di Simon Bolivar toccava un tasto sensibile dei venezuelani, i quali lo considervano un eroe morto per la libertà e l’indipendenza. Diritti che invece sono assenti in Venezuela dal 1998. Il mio interlocutore mi disse anche che Bolivar lottava sul campo per rendere liberi gli uomini mentre il golpista in questione comandava dalla sua cabina di regia e decideva sulla vita di tutti senza diritto di replica, da dittatore. A questo punto gli chiesi la sua versione dei fatti dell’aprile 2002 e dopo avermi elencato i nomi di alcuni giovani manifestanti barbaramente uccisi da bande sospettate di essere vicine al governo, cominciò il suo racconto.
“Quel giovedì 11 aprile del 2002 si sviluppò a Caracas una marcia pacifica di opposizione al governo, che partiva dal Parque del Este (zona Altamira) per continuare fino al Palacio Miraflores, residenza del presidente. Giunti nei pressi del palazzo moltissime persone furono colpite da pallottole provenienti da armi da fuoco impugnate da gruppi di finti manifestanti che avevano marciato insieme agli altri e che in seguito si erano staccati dalla massa per portare a termine il compito omicida. La maggior parte dei fotografi furono inspiegabilmente uccisi. Un video eseguito da una terrazza delle vicinanze, però, mostrava alcuni individui vestiti con abiti pressoché uguali nei colori, come una sorta di uniforme, sparare ad altezza d’uomo, non lontani da essi dei militari della “Guardia Nacional” e poliziotti nell’atto di sparare verso lo stesso gruppo di persone. Nei giorni successivi fioccarono arresti irregolari che spesso furono eseguiti entrando di forza in abitazioni private. Successivamente vi furono altri disordini e nuove vittime in diverse zone della città. A questo punto Alejandro mi guardò ancora diritto negli occhi e mi disse: “ ti sembra questo un governo democratico? Ma la conferma che qualcosa di strano era avvenuta la si ebbe quando le televisioni, imbavagliate, non raccontarono i fatti, trasmisero solo il discorso del presidente che nella sua versione ,all’acqua di rose, raccontava di alcuni disordini che avevano causato solo due o tre morti per incidenti involontari. Ci stiamo incamminando verso un sistema dittatoriale spietato e illegittimo. Noi figli di Bolivar aborriamo la falsità dei discorsi di questo capo di Stato che dice di continuare l’opera del grande libertador ma che in realtà è soltanto un “loco” che, con la complicità del dittatore cubano, ci porterà alla distruzione”.
A questo punto Alejandro si alzò di scatto dalla sua sedia e se ne andò dopo avermi salutato con un ‘adios’ . Io rimasi ancora per un po’ seduto a quel tavolo, con le tazzine piene di caffè rimasto imbevuto, guardandomi intorno e soffermandomi sui volti dei camerieri e dei clienti che certamente erano ignari del rischio reale che correva il nostro paese. Le note di una bella canzone d’amore al ritmo di salsa romantica mi donavano momenti pregni di tristezza e speranza. Tristezza per quanto stava accadendo e speranza che la forza di Alejandro contagiasse tutti come aveva contagiato me.
Cosmo de La Fuente
Media Contact
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