Finálmente el mundo se dio cuenta y Maduro llego a su recta
final. Ya no sabe como esconder la
realidad de Venezuela y quien sabe, la #FAO se haya arrepentido del premio que
le otorgaron, porque el planeta se enteró de que Venezuela no aguanta más la situación
invivible y la violación de los Derechos Humanos. El Chavismo perderá su imagen
de socialismo lindo y será muy pronto reconocido como una dictadura hacia la
muerte de los pueblos.
Los ex Chavistas que se maniefesten ahora o callen para
siempre, pero acuérdense que después, que es muy pronto, será difícil conseguir
Venezolanos (los verdaderos) que confíen con Ustedes. En este artículo en
idioma Italiano se enumeran las desgracias de Venezuela hechas por Maduro y por
Chávez y la mentira de considerar nuestro país oasis de buena vida.
Reflexionen poco y digánlo ya que se equivocaron y que
aborrecen el chavismo y pónganse hoy al lado de la democracia.
Cosmo de La Fuente
Il
Paese è stretto tra iperinflazione e mercato nero del dollaro: le banche di
investimento stimano per quest'anno un aumento dei prezzi tra il 108 e il 175%.
Intanto la valuta locale continua a perdere terreno e il Paese, in crisi per il
calo del prezzo del petrolio, rischia il default entro fine anno
Un malore dichiarato all’ultimo minuto gli ha impedito di volare a Roma, dove avrebbe incontrato il Papa Jorge Bergoglio e ricevuto un premio dalla Fao, per essere alla guida del “Paese che ha combattuto di più la fame nel mondo, grazie ai programmi sociali di cibo e al lavoro quotidiano instancabile”. Stiamo parlando di Nicolas Maduro, presidente della República Bolivariana de Venezuela. Un’isola felice? Non proprio. A dispetto dei piccoli progressi fatti negli anni per le fasce più povere della popolazione, il Venezuela oggi è sull’orlo del collasso. Da mesi il governo chiede alla Banca centrale, al ministero delle Finanze e all’Istituto nazionale di statistica di non rilasciare dati sull’andamento dell’economia.
Un segnale che rafforza le stime allarmanti prodotte, tra gli altri, dagli investitori istituzionali, molti dei quali iniziano a credere a un default del Paese entro la fine dell’anno. Secondo fonti ufficiose dell’Istituto di statistica, che si riferiscono alla fine del mese di maggio, negli ultimi 12 mesi i prezzi al consumo sono cresciuti del 108 per cento. Le banche di investimento confermano: per Jefferies i prezzi sono più che raddoppiati nell’ultimo anno, secondo JP Morgan il secondo trimestre si chiuderà con un +108% e Hsbc vede un incremento fino al 175 per cento. L’iperinflazione sta aggravando il problema della spesa per i venezuelani. Che, in coda per ore, devono ora fare i conti non solo con l’assenza dei prodotti di prima necessità – farina, latte, olio, carne – dagli scaffali dei supermercati, ma anche con il loro costo, ogni giorno più proibitivo.
A Caracas vige infatti dal 2003 una doppia politica cambiaria, che vede un cambio ufficiale con il dollaro fermo a 6,3 bolivares per biglietto verde e un cambio ufficioso di mercato – dove si acquista la valuta americana, che le rigide regole del governo non autorizzano, ma anche euro – giunto oggi fino ai 424 bolivares per dollaro. La valutazione è di DolarToday, sito che dalla cittadina colombiana di Cucuta, al confine con il Venezuela, aggiorna il mondo latino sul valore di mercato della divisa venezuelana. Per rispondere al gap di realtà, l’esecutivo nello scorso marzo ha intrapreso due strade. Una mediatica, oscurando DolarToday così come altri siti tra cui Amazon, Pinterest e Snapchat, e dichiarando guerra a Google e Mozilla. E una economica, lanciando due nuovi livelli di cambio, a 12 e 199 bolivares per importazioni prioritarie. Non è bastato, e solo nel mese di maggio il bolivar ha perso sul mercato oltre il 30% del suo valore, passando dai circa 300 a punte di 441 nei giorni scorsi.Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi. Per anni il cambio di mercato si era sempre mantenuto vicino al cosiddetto “cambio implicito”, cioè il numero di bolivares in circolazione diviso per le riserve straniere detenute da Caracas. In alcuni periodi il cambio implicito aveva addirittura superato il cambio di mercato, restituendo il segnale di un Paese che aveva fiducia nella propria moneta. Oggi la situazione è ribaltata, e il cambio di mercato vale tre volte il cambio implicito, nonostante l’involontario aiuto del deterioramento dei conti pubblici, nella fattispecie la corposa riduzione delle riserve straniere. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, per la società di ricerca e consulenza Latinvest Group Holding il Paese ha perso oltre 7,3 miliardi di dollari delle sue riserve straniere in soli 3 mesi: si sono ridotte a 16,9 miliardi. Un livello che non si vedeva dal 2003, quando il prezzo del petrolio era intorno ai 20 dollari al barile. Oggi il greggio viaggia a ridosso dei 60 dollari.
Nonostante ciò, e, anzi, forse proprio per questo, si guarda con preoccupazione alle scadenze dei titoli di Stato: di qui alla fine dell’anno è previsto un esborso di circa 5 miliardi di dollari. La sfiducia sembra dominare nel Paese che diede i natali a Simon Bolivar. Non solo nella propria moneta – il dollaro rappresenta infatti un “bene rifugio” e per questo è ambito – ma anche nella capacità di ripresa della República. Secondo un sondaggio di maggio della Universidad Católica Andrés Bello (UCAB), tra le più autorevoli del Paese, il 50% dei venezuelani vede un Paese in regresso, mentre un ulteriore 37% lo percepisce fermo.
Nelle carceri, nonostante le proteste dell’Onu, restano 77 prigionieri politici, compreso Leopoldo Lopez, leader dell’opposizione, che da circa due settimane sta portando avanti con altri 10 oppositori del governo uno sciopero della fame. L’attenzione delle autorità, però, sembra fermarsi qui. La criminalità resta un’emergenza: nel 2014, secondo l’Osservatorio venezuelano sulla violenza, si sono contati 24.980 omicidi. Un livello che ne fa il secondo Paese al mondo per morti violente. E sono un incentivo in più, per chi ne ha la possibilità, a dirigersi verso altri lidi. Se i più facoltosi si sono trasferiti a Miami già da qualche anno, Bogotà sta rappresentando negli ultimi tempi un approdo molto soddisfacente per una fascia sempre più ampia della classe media venezuelana. Un fenomeno che interroga gli stessi colombiani sul cambiamento della propria struttura sociale, culturale ed economica. E rappresenta l’altra faccia della miope denuncia fatta qualche giorno fa da Maduro, scagliatosi contro l’emigrazione colombiana in Venezuela, parlando di “emergenza umanitaria”.
Il successore di Hugo Chavez ha definito la Colombia un “esportatore netto di povertà nei confronti del Venezuela”, con 180mila ingressi solo nell’ultimo anno per una comunità complessiva di 5,6 milioni di persone. “Quando le famiglie colombiane arrivano in Venezuela, non lo fanno con ricchezze e proprietà, ma arrivano con la povertà”, ha dichiarato. E infatti chi si trasferisce da Bogotà a Caracas è allettato non solo dalla possibilità di avere università e sanità gratuite, ma anche dall’opportunità di sfruttare la forza relativa della propria moneta, contro la caduta libera del bolivar. Quanto durerà ancora tutto questo non è prevedibile. A novembre intanto, salvo cambi di programma in corsa, si terranno le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale.
Ilfattoquotidiabo
#cosmodelafuente
Un malore dichiarato all’ultimo minuto gli ha impedito di volare a Roma, dove avrebbe incontrato il Papa Jorge Bergoglio e ricevuto un premio dalla Fao, per essere alla guida del “Paese che ha combattuto di più la fame nel mondo, grazie ai programmi sociali di cibo e al lavoro quotidiano instancabile”. Stiamo parlando di Nicolas Maduro, presidente della República Bolivariana de Venezuela. Un’isola felice? Non proprio. A dispetto dei piccoli progressi fatti negli anni per le fasce più povere della popolazione, il Venezuela oggi è sull’orlo del collasso. Da mesi il governo chiede alla Banca centrale, al ministero delle Finanze e all’Istituto nazionale di statistica di non rilasciare dati sull’andamento dell’economia.
Un segnale che rafforza le stime allarmanti prodotte, tra gli altri, dagli investitori istituzionali, molti dei quali iniziano a credere a un default del Paese entro la fine dell’anno. Secondo fonti ufficiose dell’Istituto di statistica, che si riferiscono alla fine del mese di maggio, negli ultimi 12 mesi i prezzi al consumo sono cresciuti del 108 per cento. Le banche di investimento confermano: per Jefferies i prezzi sono più che raddoppiati nell’ultimo anno, secondo JP Morgan il secondo trimestre si chiuderà con un +108% e Hsbc vede un incremento fino al 175 per cento. L’iperinflazione sta aggravando il problema della spesa per i venezuelani. Che, in coda per ore, devono ora fare i conti non solo con l’assenza dei prodotti di prima necessità – farina, latte, olio, carne – dagli scaffali dei supermercati, ma anche con il loro costo, ogni giorno più proibitivo.
A Caracas vige infatti dal 2003 una doppia politica cambiaria, che vede un cambio ufficiale con il dollaro fermo a 6,3 bolivares per biglietto verde e un cambio ufficioso di mercato – dove si acquista la valuta americana, che le rigide regole del governo non autorizzano, ma anche euro – giunto oggi fino ai 424 bolivares per dollaro. La valutazione è di DolarToday, sito che dalla cittadina colombiana di Cucuta, al confine con il Venezuela, aggiorna il mondo latino sul valore di mercato della divisa venezuelana. Per rispondere al gap di realtà, l’esecutivo nello scorso marzo ha intrapreso due strade. Una mediatica, oscurando DolarToday così come altri siti tra cui Amazon, Pinterest e Snapchat, e dichiarando guerra a Google e Mozilla. E una economica, lanciando due nuovi livelli di cambio, a 12 e 199 bolivares per importazioni prioritarie. Non è bastato, e solo nel mese di maggio il bolivar ha perso sul mercato oltre il 30% del suo valore, passando dai circa 300 a punte di 441 nei giorni scorsi.Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi. Per anni il cambio di mercato si era sempre mantenuto vicino al cosiddetto “cambio implicito”, cioè il numero di bolivares in circolazione diviso per le riserve straniere detenute da Caracas. In alcuni periodi il cambio implicito aveva addirittura superato il cambio di mercato, restituendo il segnale di un Paese che aveva fiducia nella propria moneta. Oggi la situazione è ribaltata, e il cambio di mercato vale tre volte il cambio implicito, nonostante l’involontario aiuto del deterioramento dei conti pubblici, nella fattispecie la corposa riduzione delle riserve straniere. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, per la società di ricerca e consulenza Latinvest Group Holding il Paese ha perso oltre 7,3 miliardi di dollari delle sue riserve straniere in soli 3 mesi: si sono ridotte a 16,9 miliardi. Un livello che non si vedeva dal 2003, quando il prezzo del petrolio era intorno ai 20 dollari al barile. Oggi il greggio viaggia a ridosso dei 60 dollari.
Nonostante ciò, e, anzi, forse proprio per questo, si guarda con preoccupazione alle scadenze dei titoli di Stato: di qui alla fine dell’anno è previsto un esborso di circa 5 miliardi di dollari. La sfiducia sembra dominare nel Paese che diede i natali a Simon Bolivar. Non solo nella propria moneta – il dollaro rappresenta infatti un “bene rifugio” e per questo è ambito – ma anche nella capacità di ripresa della República. Secondo un sondaggio di maggio della Universidad Católica Andrés Bello (UCAB), tra le più autorevoli del Paese, il 50% dei venezuelani vede un Paese in regresso, mentre un ulteriore 37% lo percepisce fermo.
Nelle carceri, nonostante le proteste dell’Onu, restano 77 prigionieri politici, compreso Leopoldo Lopez, leader dell’opposizione, che da circa due settimane sta portando avanti con altri 10 oppositori del governo uno sciopero della fame. L’attenzione delle autorità, però, sembra fermarsi qui. La criminalità resta un’emergenza: nel 2014, secondo l’Osservatorio venezuelano sulla violenza, si sono contati 24.980 omicidi. Un livello che ne fa il secondo Paese al mondo per morti violente. E sono un incentivo in più, per chi ne ha la possibilità, a dirigersi verso altri lidi. Se i più facoltosi si sono trasferiti a Miami già da qualche anno, Bogotà sta rappresentando negli ultimi tempi un approdo molto soddisfacente per una fascia sempre più ampia della classe media venezuelana. Un fenomeno che interroga gli stessi colombiani sul cambiamento della propria struttura sociale, culturale ed economica. E rappresenta l’altra faccia della miope denuncia fatta qualche giorno fa da Maduro, scagliatosi contro l’emigrazione colombiana in Venezuela, parlando di “emergenza umanitaria”.
Il successore di Hugo Chavez ha definito la Colombia un “esportatore netto di povertà nei confronti del Venezuela”, con 180mila ingressi solo nell’ultimo anno per una comunità complessiva di 5,6 milioni di persone. “Quando le famiglie colombiane arrivano in Venezuela, non lo fanno con ricchezze e proprietà, ma arrivano con la povertà”, ha dichiarato. E infatti chi si trasferisce da Bogotà a Caracas è allettato non solo dalla possibilità di avere università e sanità gratuite, ma anche dall’opportunità di sfruttare la forza relativa della propria moneta, contro la caduta libera del bolivar. Quanto durerà ancora tutto questo non è prevedibile. A novembre intanto, salvo cambi di programma in corsa, si terranno le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale.
Ilfattoquotidiabo
#cosmodelafuente