marzo 07, 2013

Chavez: quello che gli altri non raccontano

 
I media italiani saranno sicuramente influenzati de quelli venezuelani, ma non tengono conto del fatto che a Caracas nulla è lontano dal governo e quindi dal chavismo. Se solo si ricordasse che il defunto presidente del Venezuela ha fatto chiudere, dalla sera alla mattina, la più antica emittente televisiva del paese, Radio Caracas Television, e fatto allontanare, anche con metodi "gravi" chiunque scrivesse contro il suo governo, si potrebbe capire che non è tutto oro quello che luce. C'è un altro popolo, quello che in questo momento non festeggia la morte di un essere umano ma, certamente sì, la fine di una vera e propria tirannia. Non dimentichiamo che quando Chavez volle il referendum per restare in carica, infischiandosene delle Costituzione, fino al 2031, lo perse, e non per poco. Non sottovalutiamo che le ultime elezioni anche Capriles ha avuto un buon risultato. Esiste un popolo che non stava con Chavez e per quello è stato emarginato, spesso maltrattato e privato dei diritti civili. Per quale motivo in Italia non si parla anche di questo? Si tratta d'ignoranza dei giornalisti o di cattiva volontà?
 
C’è chi piange la scomparsa del salvatore e chi festeggia la fine di un despota.
Di grande intuizione politica, Chávez era a suo modo il di una visione del mondo che in America Latina vanta profonde radici, da Perón a Castro. L’altra cosa certa è che Chávez non ha creato né la democrazia partecipativa né il socialismo del XXI secolo di cui si vantò e che tanti si ostinano ad ogni generazione a cercare nel laboratorio latinoamericano. La realtà è che in linea con quell’antica tradizione ciò che egli ha creato è un ordine autoritario, non solo ostile ai principi della democrazia liberale che aborriva, ma in generale a quelli dello Stato di diritto.

EL PODER
La divisione dei poteri non eisteva e tutti gli organi dello Stato sono stati trasformati in suoi strumenti d’arbitrio e comando. L’idea etica dello Stato che educa i cittadini con lunghe prediche presidenziali a reti unificate o con telenovelas pedagogiche sulle virtù del chavismo era il suo pane quotidiano, così come facevano Saddam e Gheddafi. In quanto al caotico comunitarismo messo in piedi, salvo lodevoli eccezioni ha finito per trasformarsi in un baraccone clientelare e familistico col quale lo Stato ha elargito denari in cambio di voti lasciando libere le briglie sul collo della spesa pubblica, nutrendo così inflazione e corruzione.

LA DEMOCRAZIA
Se della democrazia rappresentativa sono rimaste in piedi almeno le forme e se le elezioni, pur combattute ad armi impari, si sono sempre tenute, si deve al suo afflato plebiscitario e alla strenua resistenza di una società civile tutt’altro che doma.
Di Chávez rimarranno nel cuore dei suoi devoti le celebri misiones. Come i castristi sono soliti inneggiare a scuole e ospedali di Cuba, facendo intendere che valgono il prezzo di un cupo totalitarismo, così quelli di Chávez ne esaltano le missioni che hanno portato servizi di base laddove impera la miseria. E in effetti, benché l’istruzione sia spesso diventata indottrinamento e l’accesso ai loro servizi esigesse devozione politica, i risultati delle misiones sono innegabili. E innegabili sono quelli nella riduzione della povertà e delle disparità sociali. Su tali risultati, d’altronde, Chávez s’è erto a modello contro i draghi che lo ossessionavano: gli Stati Uniti, il neoliberismo. Un po’ di prospettiva storica toglie però molte luci e tutte le armi a tali pretese. Sia la riduzione della povertà, sia l’attenuazione delle disparità sociali, sono state negli anni trascorsi il marchio di fabbrica di tutta l’America Latina, quella chavista e quella antichavista. È stata semmai la globalizzazione contro cui Chávez lanciava strali a creare le condizioni perché il suo Venezuela godesse di un’epoca di vacche grasse e nelle arche del suo governo sfociassero i fiumi in piena dei dollari portati dalla spettacolare ascesa del prezzo petrolio. Senza di essa nessuna misión sarebbe esistita. Quando nel 1999 giunse al potere, il prezzo del barile era di 8 dollari. E quando un paio d’anni dopo il suo valore salì a 20, fu lo stesso Chávez a dichiarare che quel prezzo era adeguato, salvo poi godere per un decennio di prezzi superiori ai 100 dollari al barile: una cascata di denaro su cui ha costruito la sua fortuna.
UN PAESE DIVISO
Chávez lascia orfano un popolo di cui condivideva sogni e linguaggio e cui amava presentarsi nelle vesti del Cristo. Ma la sua morte pone anche fine all’incubo di un altro popolo che egli coprì d’insulti e cui negò cittadinanza perché ostile alla Rivoluzione, altrettanto grande. Lascia dunque un paese lacerato da odi profondi, risanare i quali sarà impresa ardua. Come già avvenuto in altri casi dove il populismo ha fatto man bassa, la spirale di divisioni che lascia ammorberà l’aria a lungo. La genuina popolarità di Chávez lascia infatti dietro di sé mucchi di macerie istituzionali. I mali che Chávez denunciò ai tempi della sua ascesa rimangono intatti: il tasso di violenza criminale tra i più elevati al mondo, la corruzione tra le più endemiche del globo, l’economia dipende ancor più dagli andirivieni dei prezzi petroliferi, la polizia gode di impunità, le carceri rimangono celebri per le condizioni infami. Per molti sarà stato un salvatore, per altri un despota. Il punto però, è che meglio sarebbe se un presidente non fosse l’uno né l’altro.

Cosmo de La Fuente
 

 
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