di Sergio Romano
Il referendum fallito di Hugo Chávez è più di una battaglia perduta. Il presidente venezuelano ha ambizioni continentali e internazionali. Non è soltanto un caudillo nazional-populista, nello stile di altri leader che hanno conquistato il potere in America Latina. È convinto di essere un modello per il continente e di potere recitare sulla scena mondiale un ruolo «anti-imperialista» simile a quello che Fidel Castro ebbe per qualche decennio. I suoi viaggi a Cuba non sono soltanto manifestazioni di amicizia per l’amico malato. Sono pellegrinaggi destinati a creare la convinzione che il colonnello paracadutista sarà, con altro stile e altri mezzi, l’erede, il successore, l’esecutore testamentario del «líder máximo». Il «socialismo bolivariano» è una categoria ideologica imprecisa, priva di qualsiasi rigore scientifico, farcita di affermazioni retoriche e dichiarazioni roboanti. Ma ha il pregio di essere la versione indigena delle ideologie europee, di stare al marxismo come la santeria e altri culti nativi del continente stanno al cristianesimo. Le bordate contro gli Stati Uniti hanno assicurato a Chávez la simpatia di larghi settori del continente latino-americano. Le promesse e i benefici sociali hanno conquistato la piccola borghesia, i campesinos, i miserabili delle favelas, di una parte della funzione pubblica e i quadri inferiori delle forze armate.
La modifica della costituzione avrebbe rafforzato i poteri presidenziali, gli avrebbe permesso di restare indefinitamente al vertice dello Stato e, soprattutto, lo avrebbe reso indipendente dal fattore che ha maggiormente contribuito al suo successo: il vertiginoso aumento del prezzo del petrolio.
Avremmo assistito nei prossimi mesi alla nascita di uno Stato nuovo, assemblato, come certi sincretismi religiosi, con alcuni degli ingredienti che hanno caratterizzato i regimi autoritari e totalitari del Ventesimo secolo: controllo dei mezzi d’informazione e degli altri poteri istituzionali, fra cui quello della Banca centrale, eliminazione o asservimento dei partiti politici, dirigismo economico, educazione «civica » della gioventù, culto della personalità, liturgie di regime.
È probabile che Chávez non abbia rinunciato alle sue speranze. Accetta l’esito delle urne, ma spiega il voto sostenendo che l’opinione pubblica è stata influenzata da una forte campagna internazionale, ovviamente americana, e che Fidel Castro lo aveva ammonito. Non si dichiara vinto e aggiunge che l’alta percentuale dei sì (circa il 49%) è comunque un importante «passo politico». Vi saranno altre prove di forza, quindi. Ma Chávez non ha osato contestare il risultato delle urne (come il perdente usa fare, ormai, in tutto il mondo). Il fallimento della riforma costituzionale dimostra l’esistenza in Venezuela di una opposizione che può ostacolare i programmi del presidente e, forse, sbarrare la strada al suo grande disegno.
Lo smacco subito domenica scorsa avrà parecchie ripercussioni, soprattutto in America Latina.
Molti leader hanno coltivato l’amicizia di Chávez soprattutto per due ragioni. La sua generosità petrolifera e finanziaria si è dimostrata provvidenziale per i Paesi in gravi difficoltà, come l’Argentina di Nestor Kirchner, la Bolivia di Evo Morales, la Cuba di Fidel Castro. E il suo ruolo di paladino anti-Usa, soprattutto dopo l’elezione di Bush alla Casa Bianca, ha risvegliato gli spiriti nazionalisti del continente latino-americano. Ma è difficile immaginare che Luiz da Silva in Brasile, Cristina Fernandez de Kirchner in Argentina, Michelle Bachelet in Cile, Tabaré Vazquez in Uruguay e Alan Garcia Pérez in Perù siano oggi disposti a tollerare con la pazienza di ieri gli umori e le sortite ideologiche del colonnello paracadutista di Caracas. Ed è probabile d’altro canto che altri Paesi, dall’Iran alla Cina, tratteranno il Venezuela, d’ora in poi, come un utile partner commerciale, e non più come un lontano cugino ideologico. Esiste ancora un fenomeno Chávez, ma il «modello» è più pallido, meno smagliante e attraente per gli amici, meno minaccioso per i nemici.
Il referendum fallito di Hugo Chávez è più di una battaglia perduta. Il presidente venezuelano ha ambizioni continentali e internazionali. Non è soltanto un caudillo nazional-populista, nello stile di altri leader che hanno conquistato il potere in America Latina. È convinto di essere un modello per il continente e di potere recitare sulla scena mondiale un ruolo «anti-imperialista» simile a quello che Fidel Castro ebbe per qualche decennio. I suoi viaggi a Cuba non sono soltanto manifestazioni di amicizia per l’amico malato. Sono pellegrinaggi destinati a creare la convinzione che il colonnello paracadutista sarà, con altro stile e altri mezzi, l’erede, il successore, l’esecutore testamentario del «líder máximo». Il «socialismo bolivariano» è una categoria ideologica imprecisa, priva di qualsiasi rigore scientifico, farcita di affermazioni retoriche e dichiarazioni roboanti. Ma ha il pregio di essere la versione indigena delle ideologie europee, di stare al marxismo come la santeria e altri culti nativi del continente stanno al cristianesimo. Le bordate contro gli Stati Uniti hanno assicurato a Chávez la simpatia di larghi settori del continente latino-americano. Le promesse e i benefici sociali hanno conquistato la piccola borghesia, i campesinos, i miserabili delle favelas, di una parte della funzione pubblica e i quadri inferiori delle forze armate.
La modifica della costituzione avrebbe rafforzato i poteri presidenziali, gli avrebbe permesso di restare indefinitamente al vertice dello Stato e, soprattutto, lo avrebbe reso indipendente dal fattore che ha maggiormente contribuito al suo successo: il vertiginoso aumento del prezzo del petrolio.
Avremmo assistito nei prossimi mesi alla nascita di uno Stato nuovo, assemblato, come certi sincretismi religiosi, con alcuni degli ingredienti che hanno caratterizzato i regimi autoritari e totalitari del Ventesimo secolo: controllo dei mezzi d’informazione e degli altri poteri istituzionali, fra cui quello della Banca centrale, eliminazione o asservimento dei partiti politici, dirigismo economico, educazione «civica » della gioventù, culto della personalità, liturgie di regime.
È probabile che Chávez non abbia rinunciato alle sue speranze. Accetta l’esito delle urne, ma spiega il voto sostenendo che l’opinione pubblica è stata influenzata da una forte campagna internazionale, ovviamente americana, e che Fidel Castro lo aveva ammonito. Non si dichiara vinto e aggiunge che l’alta percentuale dei sì (circa il 49%) è comunque un importante «passo politico». Vi saranno altre prove di forza, quindi. Ma Chávez non ha osato contestare il risultato delle urne (come il perdente usa fare, ormai, in tutto il mondo). Il fallimento della riforma costituzionale dimostra l’esistenza in Venezuela di una opposizione che può ostacolare i programmi del presidente e, forse, sbarrare la strada al suo grande disegno.
Lo smacco subito domenica scorsa avrà parecchie ripercussioni, soprattutto in America Latina.
Molti leader hanno coltivato l’amicizia di Chávez soprattutto per due ragioni. La sua generosità petrolifera e finanziaria si è dimostrata provvidenziale per i Paesi in gravi difficoltà, come l’Argentina di Nestor Kirchner, la Bolivia di Evo Morales, la Cuba di Fidel Castro. E il suo ruolo di paladino anti-Usa, soprattutto dopo l’elezione di Bush alla Casa Bianca, ha risvegliato gli spiriti nazionalisti del continente latino-americano. Ma è difficile immaginare che Luiz da Silva in Brasile, Cristina Fernandez de Kirchner in Argentina, Michelle Bachelet in Cile, Tabaré Vazquez in Uruguay e Alan Garcia Pérez in Perù siano oggi disposti a tollerare con la pazienza di ieri gli umori e le sortite ideologiche del colonnello paracadutista di Caracas. Ed è probabile d’altro canto che altri Paesi, dall’Iran alla Cina, tratteranno il Venezuela, d’ora in poi, come un utile partner commerciale, e non più come un lontano cugino ideologico. Esiste ancora un fenomeno Chávez, ma il «modello» è più pallido, meno smagliante e attraente per gli amici, meno minaccioso per i nemici.
2 comentarios:
Scusami ma questo articolo lo trovo eccessivamente inquadrato nei soliti schemi ideologici che sono di ostacolo ad una analisi genuina del fenomeno politico. Io ti segnalo invece questo articolo: http://www.gennarocarotenuto.it/public/post/venezuela-la-dittatura-che-non-c-e-1435.asp
Saluti
La dittatura che c'è eccome!!!!
Carotenuto parla ma non dice tutto, leggiti questo che è meglio
http://www.davidpuente.net/?p=1013
Saludos
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