julio 23, 2007

Bolivariano o Bolivarista?


(nella foto Coronel Milza, gag a Chavez)

Da 'La Voce d'Italia'
Un altro parere....
Venezuela: Le molteplici sfaccettature del pensiero chavista
La Teologia della liberazione, propugnata da una parte del clero di base cattolico, trova nei pensieri di Chávez una sua rielaborazione
Milano, 23 lug.- Bolivariano è un termine che indica gli abitanti degli attuali sei Paesi che devono la loro emancipazione al Libertador: Colombia, Bolivia, Ecuador, Panama, Perú e Venezuela. La parola Bolivarista identifica, viceversa, coloro che si rifanno alle idee e alle gesta di Simon Bolívar interpretandole in chiave di attuazione politica: Bolivaristi sono gli intellettuali, gli studiosi e i politici che sostengono la ricerca di una Grande Patria (“Per noi la Patria è l’America”, dice Bolívar a Urdaneta nel 1814) e si propongono di mantenere sempre vivo il progetto di una confederazione di stati e stringere vincoli di interscambio culturale e economico tra i Paesi Bolivariani al punto di annullare o confondere le frontiere e realizzare così il sogno del patriota, la “Nazione delle repubbliche”.
Nel dettaglio, il Bolivarismo incarna vari progetti storici: la “colombianità” o ricostruzione della antica alleanza tra Colombia, Ecuador, Panama e Venezuela; la confederazione andina, la quale include Bolivia e Perú in stretta collaborazione con la “Grande Colombia” in un sistema collegato; il congresso generale americano all’interno del quale troverebbero posto tutti i Paesi dell’area ispanoamericana e, infine, la dottrina sull’equilibrio politico del mondo, vecchia aspirazione Bolivariana che ha avuto parziale attuazione all’interno di organismi internazionali come la Università Panamericana, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Organizzazione degli Stati Americani e altre. Oggi i termini bolivariano e bolivarista vengono utilizzati indifferentemente. Lo stesso generale propose, nel 1815, la creazione di una città internazionale che divenisse sede dell’idea di unità del continente, libera dai condizionamenti della nazione e simbolo di unità e indipendenza. Ciò che non è la sede (e l’Organizzazione stessa) delle Nazioni Unite.
E bolivarista è anche il presidente venezuelano Chavez (nella foto), il cui programma politico, sebbene appaia multiforme, mutua gran parte della sua ispirazione dal pensiero del Libertador. L’esperienza politica decisiva del comandante Chávez risale al 1974, quando fece parte di una delegazione militare inviata in Perú per celebrare il 150° anniversario della battaglia di Ayacucho, sul luogo stesso in cui gli eserciti di Bolívar e Sucre avevano sbaragliato nel 1824 le forze coloniali spagnole, liberando definitivamente il Perú.
La lettura che Chávez fornisce di questa esperienza storica si presta alla formulazione di un progetto di unificazione politica extranazionale e continentale. In Perú, Chávez prese coscienza anche del valore politico del golpe del generale Juan Velasco Alvarado, che nel 1968 s’impossessò del potere insieme ad un gruppo di militari progressisti decisi a cancellare le ingiustizie sociali dei precedenti governi oligarchici e realizzare riforme radicali in campo economico, sociale e istituzionale. Il Generale editò successivamente un opuscolo intitolato La revolución nacional peruana nel quale erano contenuti i principi che dovevano ispirare il cambiamento radicale della situazione politica, economica e sociale nel Paese andino.
Tra le più importanti riforme introdotte dal governo militare di Alvarado, figurarono la riforma agraria e l’introduzione del Sinamos (Sistema nacional de apoyo a la movilización social) paragonabile agli attuali Comitati Bolivariani. In sintesi, non strutture partitiche ma una rete di mobilitazione popolare e di sostegno alle misure di governo che non risultassero un semplice coordinamento di organismi di massa per l’applicazione delle riforme o per l’indottrinamento propagandistico. Potrebbe considerato alla stregua di un coinvolgimento delle masse popolari dal basso, ma con un piano precostituito dall’alto.
Sulla scorta di questa esperienza, nel 1977 Chávez decide di formare un proprio gruppo clandestino, l’Ejército de liberación del Pueblo de Venezuela, ma i propositi di azione di questo gruppo rimasero fondamentalmente sulla carta. Cinque anni più tardi, diede vita ad un nuovo movimento clandestino, meglio organizzato e interno alle stesse forze armate, chiamato Movimiento Bolívariano Revolucionario – 200 (Mbr - 200). A Saman del Guere, vicino Maracay, i giovani ufficiali ripeterono la stessa formula da Simon Bolívar a Roma il 15 agosto 1805 sulla collina di Montesacro: «Giuro innanzi a voi; giuro sul Dio dei miei padri; giuro su di loro; giuro sul mio onore e sulla Patria che non darò riposo al mio braccio, né requie all’anima mia, fin quando non avrò spezzato le catene che ci opprimono per volontà del potere spagnolo».
Un altro elemento che caratterizza il pensiero politico di Chávez proviene da una forma di cristianesimo primigenio che ha fortemente influenzato alcune sue idee di solidarismo e di riscatto sociale. La Teologia della liberazione, propugnata da una parte del clero di base cattolico, trova nei pensieri di Chávez una sua rielaborazione. William Izarria, ex viceministro degli Esteri venezuelano, durante una sua recente conferenza a Roma, ha tracciato i riferimenti ideologici del Comandante: Simon Bolívar, Che Guevara, Gesù Cristo, indicando tre fondamenti del “socialismo del XXI secolo”: bene comune, produzione sociale, partecipazione diretta. Se uno di questi tre elementi non si realizzasse, l’intero progetto fallirebbe.
D’altronde Chávez durante i suoi comizi spesso manifesta apertamente il suo essere cristiano e cattolico mostrando la croce che tiene appesa al collo. «Una delle caratteristiche fondamentali di un leader, soprattutto di un leader rivoluzionario è quella di seguire il sentiero di Cristo». E ancora ha recitato in un’occasione ufficiale a L’Avana: «Il bolivarismo è sia socialismo che cristianesimo», senza dimenticare di ricordare alla folla che «è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio». Naturalmente questo particolare tipo di cristianesimo non rispecchia l’ortodossia della chiesa cattolica romana, tanto che molti sostenitori della Teologia della liberazione hanno subito l’onta della scomunica. Già in uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, papa Giovanni Paolo II dichiarò che «la concezione di Cristo come una figura politica, un rivoluzionario (...) non è compatibile con gli insegnamenti della Chiesa».
Il pensiero di Chavez conclude il suo percorso di formazione nel 1992 quando, dopo essere stato incarcerato a seguito del fallimento del putsch militare organizzato per destituire il presidente Carlos Andrés Pérez, ha avuto modo di coagulare intorno al suo gruppo altre realtà politiche. Durante il periodo di detenzione il militare ha mantenuto regolari rapporti con esponenti del Movimiento al Socialismo (Mas), con esponenti de La Causa R e con altre formazioni di sinistra come il Frente patriótico di Luis Miquilena, fondatore del Partido comunista venezolano unitario nel 1946 ed esponente di una delle tante correnti del socialismo nazionale in contrasto con i partiti comunisti legati a Mosca.
Nel 1997 nasce così il Movimiento Quinta República (Mvr), in vista delle elezioni politiche e amministrative dell’anno successivo. È in questo momento che il pensiero e la figura di Bolivar escono prepotentemente alla luce: bolivariano si autodefinisce il movimento chavista e bolivariana sarà la rivoluzione che comincia a muovere i primi passi dopo le elezioni del 1998. Lo stesso Chávez edita un opuscolo il cui titolo è La propuesta para transormar a Venezuela, nel quale viene per la prima volta dettagliato in maniera organica il programma politico del movimento. Chávez viene eletto con il 56,20% dei voti, facendo mutare radicalmente la storia del Venezuela.
Cristiano Tinazzi
(Media Contact)

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