diMAURIZIO STEFANINI
Da una parte 161 deputati che
acclamavano: «Non torneranno! Non
torneranno!». Dall’altra i sei membri
del partito Podemos, (Por la
Democracia Social), che urlvano: «Frode
costituzionale! Frode costituzionale!»…. È stato
approvato così il testo della riforma
costituzionale voluta da Hugo Chávez, che un
referendum, adesso, dovrà ratificare il prossimo
2 dicembre. Ma l’opposizione si è riaffacciata
all’Assemblea Nazionale venezuelana, dopo
essere tornata anche nelle piazze. Erano 33 i
nuovi articoli proposti da Chávez, per realizzare
una rivoluzione nella rivoluzione con una nuova
“Costituzione socialista”. Sono stati addirittura
69 quelli che, alla fine, sono passati con la
comparsa di ben 36 articoli in più. E dentro c’è
un po’ di tutto: dalla giornata lavorativa di sei ore
a un fondo per permettere le vacanze di
lavoratori autonomi, atipici e informali,
all’istituzione di nuovi tipi di proprietà accanto a
quella privata. Ma le opposizioni tradizionali
hanno denunciato, soprattutto, quelle
innovazioni che minacciano di accrescere il
potere di Chávez a livelli allarmanti: l’aumento
del mandato presidenziale da sei a sette anni; la
fine del divieto di una terza rielezione; un
riordinamento territoriale che, assieme
all’istituzione di organismi di “potere popolare”,
rischia di ridurre drasticamente le competenze
delle amministrazioni locali; la soppressione
dell’autonomia della Banca Centrale e la
riduzione di quella universitaria; la possibilità di
dichiarare uno “stato d’eccezione” durante il
quale la libertà d’informazione può essere
soppressa. Le opposizioni tradizionali, va
ricordato, dopo aver però boicottato le elezioni
politiche del 2005, non hanno più
rappresentanza all’Assemblea Nazionale formata
tutta da partiti sostenitori di Chávez. Tant’è che la
principale manifestazione di dissenso da quel
versante è arrivata con il corteo per le vie di
Caracas di alcune migliaia di studenti che si sono
pure scontrati con la polizia e con militanti
chavistas a sassate e bottigliate, con un bilancio di
dieci feriti. I dubbi, però, stavolta sono arrivati
anche dell’ambito “oficialista”, come si dice in
spagnolo. Lo stesso Defensor del Pueblo, il
difensore civico eletto dall’Assemblea Nazionale,
si è opposto pubblicamente a che lo stato di
eccezione comportasse anche la sospensione del
dovuto processo, e l’ha spuntata. In più, si è
rifiutato di appoggiare la riforma il già citato
partito del Podemos, che nel 2005 ottenne il 10
per cento dei voti, e che già aveva manifestato
disagio con il rifiuto di confluire nel nuovo
partito unificato della Rivoluzione Socialista in
cui Chávez ha voluto raccogliere tutti i suoi
seguaci, Infuriato, lo stesso Chávez ha definito
i sei dissidenti «sterco e traditori», mentre il
leader del Podemos, Ismael García, diceva di
avere avuto, in privato, l’appoggio di molti altri
deputati timorosi, però, di manifestare la
propria opposizione in pubblico.Come che
sia, la loro battaglia ha avuto un effetto
soprattutto platonico. Né a questo punto le
opposizioni vecchie e nuove sembrano in
grado di condurre la battaglia del referendum
con qualche possibilità di successo, anche per
il pochissimo tempo che c’è a disposizione
fino al 2 dicembre. Non a caso, una delle
richieste della manifestazione studentesca era,
oltre alla convocazione di una Costituente
apposita, che fosse, comunque, concesso uno
spazio di tempo maggiore per riflettere e
dibattere sulla riforma.
D’altra parte, la situazione sembra
radicalizzarsi anche per altre ragioni. Fonti
dell’opposizione segnalano che nelle ultime
sei settimane ci sarebbero state in Venezuela
ben 280 proteste di piazza, per le ragioni più
varie: insicurezza, mancanza di acqua e luce,
strade in cattivo stato, ospedali inservibili, case
promesse e non consegnate. Gustavo Azócar
Alcalá, un giornalista antichavista che, in
passato, è stato difeso da Reporter Senza
Frontiere dopo essere finito per un po’ in
carcere, ha scritto un duro editoriale in cui ha
parlato di «Caracazo que está por venir».
Riferimento alla violenta rivolta popolare che
si accese a Caracas nel febbraio 1989 in seguito
all’aumento del prezzo dei trasporti pubblici, e
che innescò il collasso della Quarta Repubblica
venezuelana.
Da una parte 161 deputati che
acclamavano: «Non torneranno! Non
torneranno!». Dall’altra i sei membri
del partito Podemos, (Por la
Democracia Social), che urlvano: «Frode
costituzionale! Frode costituzionale!»…. È stato
approvato così il testo della riforma
costituzionale voluta da Hugo Chávez, che un
referendum, adesso, dovrà ratificare il prossimo
2 dicembre. Ma l’opposizione si è riaffacciata
all’Assemblea Nazionale venezuelana, dopo
essere tornata anche nelle piazze. Erano 33 i
nuovi articoli proposti da Chávez, per realizzare
una rivoluzione nella rivoluzione con una nuova
“Costituzione socialista”. Sono stati addirittura
69 quelli che, alla fine, sono passati con la
comparsa di ben 36 articoli in più. E dentro c’è
un po’ di tutto: dalla giornata lavorativa di sei ore
a un fondo per permettere le vacanze di
lavoratori autonomi, atipici e informali,
all’istituzione di nuovi tipi di proprietà accanto a
quella privata. Ma le opposizioni tradizionali
hanno denunciato, soprattutto, quelle
innovazioni che minacciano di accrescere il
potere di Chávez a livelli allarmanti: l’aumento
del mandato presidenziale da sei a sette anni; la
fine del divieto di una terza rielezione; un
riordinamento territoriale che, assieme
all’istituzione di organismi di “potere popolare”,
rischia di ridurre drasticamente le competenze
delle amministrazioni locali; la soppressione
dell’autonomia della Banca Centrale e la
riduzione di quella universitaria; la possibilità di
dichiarare uno “stato d’eccezione” durante il
quale la libertà d’informazione può essere
soppressa. Le opposizioni tradizionali, va
ricordato, dopo aver però boicottato le elezioni
politiche del 2005, non hanno più
rappresentanza all’Assemblea Nazionale formata
tutta da partiti sostenitori di Chávez. Tant’è che la
principale manifestazione di dissenso da quel
versante è arrivata con il corteo per le vie di
Caracas di alcune migliaia di studenti che si sono
pure scontrati con la polizia e con militanti
chavistas a sassate e bottigliate, con un bilancio di
dieci feriti. I dubbi, però, stavolta sono arrivati
anche dell’ambito “oficialista”, come si dice in
spagnolo. Lo stesso Defensor del Pueblo, il
difensore civico eletto dall’Assemblea Nazionale,
si è opposto pubblicamente a che lo stato di
eccezione comportasse anche la sospensione del
dovuto processo, e l’ha spuntata. In più, si è
rifiutato di appoggiare la riforma il già citato
partito del Podemos, che nel 2005 ottenne il 10
per cento dei voti, e che già aveva manifestato
disagio con il rifiuto di confluire nel nuovo
partito unificato della Rivoluzione Socialista in
cui Chávez ha voluto raccogliere tutti i suoi
seguaci, Infuriato, lo stesso Chávez ha definito
i sei dissidenti «sterco e traditori», mentre il
leader del Podemos, Ismael García, diceva di
avere avuto, in privato, l’appoggio di molti altri
deputati timorosi, però, di manifestare la
propria opposizione in pubblico.Come che
sia, la loro battaglia ha avuto un effetto
soprattutto platonico. Né a questo punto le
opposizioni vecchie e nuove sembrano in
grado di condurre la battaglia del referendum
con qualche possibilità di successo, anche per
il pochissimo tempo che c’è a disposizione
fino al 2 dicembre. Non a caso, una delle
richieste della manifestazione studentesca era,
oltre alla convocazione di una Costituente
apposita, che fosse, comunque, concesso uno
spazio di tempo maggiore per riflettere e
dibattere sulla riforma.
D’altra parte, la situazione sembra
radicalizzarsi anche per altre ragioni. Fonti
dell’opposizione segnalano che nelle ultime
sei settimane ci sarebbero state in Venezuela
ben 280 proteste di piazza, per le ragioni più
varie: insicurezza, mancanza di acqua e luce,
strade in cattivo stato, ospedali inservibili, case
promesse e non consegnate. Gustavo Azócar
Alcalá, un giornalista antichavista che, in
passato, è stato difeso da Reporter Senza
Frontiere dopo essere finito per un po’ in
carcere, ha scritto un duro editoriale in cui ha
parlato di «Caracazo que está por venir».
Riferimento alla violenta rivolta popolare che
si accese a Caracas nel febbraio 1989 in seguito
all’aumento del prezzo dei trasporti pubblici, e
che innescò il collasso della Quarta Repubblica
venezuelana.
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