junio 17, 2015

Gli italiani in Venezuela



GLI ITALIANI IN VENEZUELA

Gli Italiani in Venezuela
Autore Carlos Gullì (Cosmo de La Fuente)
È consentito prelevare il testo, o parte di esso, citando autore e link all’articolo.

L’impronta degli italiani in Venezuela risale ai tempi della scoperta di questa regione del mondo, avvenuta il 2 agosto 1498 a seguito del terzo viaggio di Cristoforo Colombo. Il fatto che gli italiani non ne siano stati i conquistatori ha fatto sì che nascesse tra i due popoli una sorta di simpatia umana che ha facilitato, altresì, il lascito, da parte dei nostri conterranei, di un’impronta culturale indelebile. La stessa cosa non si può dire dei portoghesi o degli spagnoli che, nelle parole dei venezuelani, nel loro immaginario, talvolta vengono considerati come intrusi. I matrimoni tra italiani e venezuelani sono perciò molto più diffusi di quelli tra venezuelani e persone di altre nazionalità.[1]
            La storia moderna del Venezuela comincia con gli italiani, e le pagine di essa sono ricche di nomi nostrani: Colombo, Vespucci, Codazzi, Castelli e altri ancora.[2] Già nel suo nome, Venezuela, c’è un richiamo all’Italia. Giungendo ad un villaggio indigeno nell’attuale territorio di Maracaibo, costruito su palafitte, Amerigo Vespucci lo descrisse infatti così: “Siamo appena giunti in un posto sulla costa di questa terra dove la popolazione vive sull’acqua come nella nostra Venezia”.[3] L’immagine di una “Venezia in miniatura” si diffonde in Europa fino a trovare un’assegnazione grafica nella carta geografica redatta da Juan de La Costa,[4] in cui, per la prima volta, si legge la parola Veneçuela ovvero ‘piccola Venezia’ in castigliano del tempo. Presto il nome comprese tutto l’odierno territorio nazionale e non solo la laguna di Maracaibo. Già durante il periodo della colonizzazione del Venezuela gli italiani svilupparono diverse attività; vi erano infatti orefici, commercianti, cuochi, medici, provenienti da Genova, da Milano e persino membri dell’aristocrazia siciliana del 1700.
            Le pagine più importanti della storia venezuelana sono ricche di gesta che il nostro paese ha offerto agli eroi Simon Bolivar e Francisco de Miranda, e non furono pochi i nostri conterranei che parteciparono alla guerra d’indipendenza dalla Spagna. Anche il piemontese Francesco Isnardi partecipò all’atto di indipendenza e alla proclamazione della Repubblica, avvenuta il 5 luglio del 1811.[5]
            Quando per la prima volta cadde la Repubblica, molti italiani furono processati e pagarono con la propria vita il loro atto. Una nota di merito anche per Agostino Codazzi, in Italia non molto conosciuto, che ha realizzato opere come l’Atlas físico y político de la República e il compendio geografico Resumen de la geografía de Venezuela y Mapa general de Venezuela.[6]
            Consultando il registro degli immigrati che si trova presso il “club italo-venezuelano”[7] di Caracas si apprende che gli italiani di prima generazione nati in Venezuela si chiamavano soprattutto Rasetti, Tagliaferro, Adriani.[8] Essi hanno contribuito, con i loro interventi nel Parlamento e nella stampa, a modificare la politica d’immigrazione contrastando, ad inizio secolo, l’inspiegabile tendenza a preferire l’immigrazione proveniente dalle Antille, dall’Asia e dall’Africa. Furono proprio le proposte parlamentari di Adriani a favorire l’immigrazione italiana negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Un’ondata che si andava ad aggiungere a quella, più leggera, del XIX secolo quando i nostri immigrati provenivano soprattutto dalla Toscana (Livorno e Isola d’Elba). Tra gli italiani che si sono distinti in Venezuela nel secolo scorso, non possiamo non citare Pompeo D’Ambrosio, nato in provincia di Caserta nel 1917, trasferitosi a Caracas nel 1951 come dipendente del Banco Latino divenuto poi il responsabile del Deportivo Italia, squadra di calcio della colonia italiana negli anni Sessanta e Settanta.
            A seguito dei flussi migratori dall’Italia è interessante notare come alcuni italianismi si siano inseriti nella lingua del Venezuela[9], come ad esempio la testa; piano a piano; école cua[10] da ‘eccoli qua’ come alternativa spiritosa a exacto.
            Secondo le statistiche ufficiali rilevate da Susan Berglund e Humberto Hernandez Calimàn, il numero degli stranieri giunti in Venezuela nel 1948 fu di 71.168 individui fino a raggiungere la cifra di 150.361 nel 1957. La percentuale corrispondente agli italiani fu del 27,5% nel 1948, del 35,5% nel 1951, del 34,3% nel 1955, del 16,2% nel 1958 e del 18,3% nel 1961.
            Secondo quanto emerge da uno studio di Giovanna Gianturco[11] è difficile addentrarsi nella vita quotidiana dei giovani italiani all’estero; risulta essere un lavoro complesso perché gli eredi dell’emigrazione italiana, apparentemente, non hanno nulla in comune con i loro precursori del secolo scorso a tal punto che risulterebbe evidente una vera e propria rottura con il passato. La totale differenza tra il loro linguaggio e quello dei loro nonni è anche frutto della maturazione del linguaggio di mezzo, quello dei loro genitori. È interessante analizzare, comunque, il significato che i giovanissimi danno alla loro discendenza italiana, le spiegazioni che espongono e le preoccupazioni che sentono nell’essere catalogati come ‘italiani’. L’identità di questi ragazzi, come di quelli nati in altri paesi che sono stati meta dell’emigrazione italiana, possiede una doppia matrice: una derivante dal volere della famiglia di origine e l’altra dettata da scelte personali (cosa che già noi, di seconda generazione, abbiamo conosciuto, sebbene, nel nostro caso, si poteva parlare di reale imposizione da parte dei nostri genitori). Le diverse ricerche effettuate mostrano l’identità collettiva dei giovani italiani all’estero, rituali quotidiani di carattere relazionale che racchiudono le molecole dell’appartenenza e del riconoscimento. Tra la prima e la seconda generazione esisteva una sorta di incontro-scontro dovuto, come abbiamo detto, a un atteggiamento impositivo da parte dei genitori, tra la terza e la prima emerge un sentimento di ritrovata comunicazione e di scambio culturale. Per me e per gli italiani della mia generazione imparare e parlare l’italiano era un obbligo, per i nostri figli è una libera scelta che ha permesso al loro linguaggio di raggiungere degli ottimi livelli di fluidità. I giovani di oggi si sentono depositari di un patrimonio culturale che in Italia un po’ si sta perdendo ma che, dal punto di vista delle tradizioni, all’estero è ancora molto importante.
            Questa breve divagazione linguistico-antropologica è per sottolineare che, tra le manifestazioni del desiderio di appartenere alla nostra cultura, da parte degli italiani di terza generazione, è rilevante quella di volere fortemente imparare bene la lingua italiana, caratteristica che dovrebbe dar vita a un idioma di ottimo livello se confrontato all’“itagnolo” dei nonni o alla lingua stereotipata dei loro genitori e della mia generazione. Noi, che apparteniamo alla seconda generazione, un po’ snobbavamo il linguaggio popolare dei nostri genitori e non ne apprezzavamo il valore; i ragazzi di terza generazione, invece, hanno riscoperto il piacere di appartenere alla cultura italiana e, in previsione di trasferirsi un giorno in Italia, frequentano corsi di lingua italiana ad alto livello. Come si vedrà dalle interviste, però, non è sempre così soddisfacente l’italiano parlato dagli emigrati nati negli anni Novanta, e questo si spiega facilmente con il fatto che queste persone utilizzano regolarmente, nel quotidiano e nelle occasioni formali, la lingua spagnola.
            L’aver letto una parte dello studio di Giovanna Gianturco mi ha convinto ad intervistare non solo rappresentanti della terza generazione ma, soprattutto, della seconda in modo da tentare di evidenziare le differenze tra la prima, la seconda e la terza generazione di italiani in Venezuela. Si pensa che l’italiano parlato dalla prima generazione di italiani emigrati in Venezuela, nonostante l’uso di molti vocaboli spagnoli, resta legato al dialetto di origine; la seconda generazione, invece, ha studiato la lingua nelle scuole private italiane e parla in maniera più scolastica rispetto ai ragazzi di terza generazione che hanno studiato l’italiano per propria scelta e hanno avuto la possibilità di viaggiare e, quindi, di confrontarsi con la lingua parlata in Italia; il linguaggio di questi ultimi, in certi casi, è fluido malgrado il comprensibile uso di termini spagnoli che vengono italianizzati.
            L’italiano parlato dagli emigrati è quello che si ascolta in luoghi di aggregazione come i vari clubs italo-venezuelani anche a carattere regionale, come il “Club Calabro Venezolano” e il “Club Campania en Venezuela”, nel tentativo di imitare il più importante club Italo Venezolano.[12]


          Nel secondo dopoguerra il Venezuela rappresenta una delle grandi novità dell’emigrazione italiana verso i paesi extraeuropei.[13] Negli anni Cinquanta, infatti, mentre si sviluppa l’emigrazione di massa in Australia, quella in Canada supera quella verso gli Stati Uniti e il trasferimento in Venezuela sopravanza quello diretto in Argentina. Innestandosi sulla precedente immigrazione dell’epoca pre-petrolifera, oltre 200.000 italiani, recandosi in Venezuela dal 1946 e il 1960, danno un contributo decisivo all’industrializzazione del paese e più in generale alla sua modernizzazione, incardinata su un vasto processo di urbanizzazione. Proveniente per lo più dal Sud e dalla Sicilia, la comunità italiana degli anni Cinquanta, seconda per dimensioni solo a quella spagnola, svolge un ruolo fondamentale nella piccola e media industria e ancor più nella crescente industria delle costruzioni a Caracas e nelle principali aree urbane. Il paesaggio metropolitano e la rete infrastrutturale del Venezuela contemporaneo non sarebbero quello che sono (nel bene e nel male) senza il contributo decisivo dell’immigrazione italiana e il concorso della grande impresa (basti pensare agli interventi della Fiat e dell’Innocenti per il centro siderurgico di Puerto Ordaz). In grandi opere, dal ponte Urdaneta, sul lago di Maracaibo, progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi, alla bellissima metropolitana della capitale, si è materializzato fino agli anni più recenti il contributo italiano.
          L’immigrazione italiana ha rivelato uno straordinario dinamismo nell’attivare nuove imprese in settori non convenzionali e nell’aprire nuove frontiere culturali, scientifiche e artistiche nel contesto dell’universo euro-americano.
          Va sottolineato che questa presenza non si è limitata a Caracas e al Nord metropolitano del paese, ma si è irradiata anche alle città della “nuova frontiera” venezuelana come Maracaibo, Ciudad Guayana, Acarigua, ecc., fino a raggiungere il territorio delle miniere del “Venezuela profondo”.
          Non va dimenticato, infine, che questa emigrazione di massa, dinamica e trasformatrice, è passata attraverso una durissima e dolorosa selezione sociale, documentata dall’altissimo numero di rimpatri.




[1] P. Cunill Grau, La presenza italiana in Venezuela, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, p. 1.
[2] G. Arciniegas, Il mare d’oro, Milano, 1996, p. 19.
[3] A. Vespucci, Lettera di Amerigo Vespucci sulle isole nuovamente trovate in quattro suoi viaggi, in P. Collo –  P. L. Crovetto
[4] La carta fu redatta a seguito della spedizione del 1499 sotto la guida di Alonso de Ojeda. La prima carta fu disegnata nel 1500, chiamata “el primer Mapa Mundi”, per opera di Juan de la Costa; cfr. P. Cunill Grau, op. cit., p. 18.
[5] M. Vannini, Entre la historia y la epopeya: los italianos en la forja de la nación Venezolana, in A. Filippi, Italia y los Italianos en la historia y en la cultura de Venezuela, Caracas, 1994, p. 170.
[6] Agostino Codazzi, militare, viaggiatore e scienziato, nato a Lugo di Romagna nel 1793 e morto in Colombia nel 1859, divenne il geografo e cartografo ufficiale del Venezuela in fase nascente, quando il paese aveva bisogno di conoscere il proprio territorio. Pur operando fra grandi tensioni politiche, conflitti armati e difficoltà economiche, il lavoro di Codazzi fu di importanza fondamentale pure per l’Europa. Insignito anche del ruolo di botanico, zoologo ed etnografo, le sue mappe particolareggiatissime furono studiate soprattutto in Francia. Nel 1840-41 pubblicò un atlante fisico e politico e un compendio geografico del Venezuela (Resumen de la geografia de Venezuela, Mapa general de Venezuela e Atlas fisico y politico de la Republica) che fu apprezzato da grandi scienziati come Alessandro Humboldt.
[7] Club italo-venezuelano di Prados del Este a Caracas.
[8] L’origine del cognome Tagliaferro ha un ceppo nel vicentino, uno nel goriziano, uno in provincia di Roma e in Campania; Adriani ha vari ceppi: uno a Schio nel vicentino, uno a Firenze e uno nell'Isola d'Elba, uno nel perugino, a Foligno e Città di Castello, uno in Abruzzo, a Casalincontrada, nel teatino, a Giulianova e a L'Aquila, uno nel reatino, a Roma, il più consistente di tutti, e a Bitonto nel barese; Rasetti ha un ceppo a Perugia, uno a Firenze ma anche in Piemonte e Lombardia; fonte: L’Italia dei cognomi (www.cognomiitaliani.org).
[9] Cfr. www.venciclopedia.com e il Diccionario la chuleta Venezolana, consultabile on-line al sito http://www.lachuleta.net.
[11] Giovanna Gianturco è professore associato presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione di Caracas e dal 2001 ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione.
[12] Il club Italo Venezolano ha sede a Caracas, è sicuramente il più prestigioso, malgrado associarsi abbia un costo piuttosto elevato. Per ovviare al problema delle quote associative troppo costose, da molti anni vi sono associazioni dedicate ad alcune regioni italiane, con quote più economiche, ma che non offrono gli stessi servizi e svaghi del Club Italo Venezolano.
[13] Cfr. P. Bevilacqua – A. De Clementi – E. Fanzina, Storia dell’emigrazione italiana, Roma, 2002.

junio 10, 2015

Maduro alla fine! La ruina de Venezuela llegò a su acta final

Finálmente el mundo se dio cuenta y Maduro llego a su recta final.  Ya no sabe como esconder la realidad de Venezuela y quien sabe, la #FAO se haya arrepentido del premio que le otorgaron, porque el planeta se enteró de que Venezuela no aguanta más la situación invivible y la violación de los Derechos Humanos. El Chavismo perderá su imagen de socialismo lindo y será muy pronto reconocido como una dictadura hacia la muerte de los pueblos.
Los ex Chavistas que se maniefesten ahora o callen para siempre, pero acuérdense que después, que es muy pronto, será difícil conseguir Venezolanos (los verdaderos) que confíen con Ustedes. En este artículo en idioma Italiano se enumeran las desgracias de Venezuela hechas por Maduro y por Chávez y la mentira de considerar nuestro país oasis de buena vida.
Reflexionen poco y digánlo ya que se equivocaron y que aborrecen el chavismo y pónganse hoy al lado de la democracia.
Cosmo de La Fuente


Il Paese è stretto tra iperinflazione e mercato nero del dollaro: le banche di investimento stimano per quest'anno un aumento dei prezzi tra il 108 e il 175%. Intanto la valuta locale continua a perdere terreno e il Paese, in crisi per il calo del prezzo del petrolio, rischia il default entro fine anno
Un malore dichiarato all’ultimo minuto gli ha impedito di volare a Roma, dove avrebbe incontrato il Papa Jorge Bergoglio e ricevuto un premio dalla Fao, per essere alla guida del “Paese che ha combattuto di più la fame nel mondo, grazie ai programmi sociali di cibo e al lavoro quotidiano instancabile”. Stiamo parlando di Nicolas Maduro, presidente della República Bolivariana de Venezuela. Un’isola felice? Non proprio. A dispetto dei piccoli progressi fatti negli anni per le fasce più povere della popolazione, il Venezuela oggi è sull’orlo del collasso. Da mesi il governo chiede alla Banca centrale, al ministero delle Finanze e all’Istituto nazionale di statistica di non rilasciare dati sull’andamento dell’economia.

Un segnale che rafforza le stime allarmanti prodotte, tra gli altri, dagli investitori istituzionali, molti dei quali iniziano a credere a un default del Paese entro la fine dell’anno. Secondo fonti ufficiose dell’Istituto di statistica, che si riferiscono alla fine del mese di maggio, negli ultimi 12 mesi i prezzi al consumo sono cresciuti del 108 per cento. Le banche di investimento confermano: per Jefferies i prezzi sono più che raddoppiati nell’ultimo anno, secondo JP Morgan il secondo trimestre si chiuderà con un +108% e Hsbc vede un incremento fino al 175 per cento. L’iperinflazione sta aggravando il problema della spesa per i venezuelani. Che, in coda per ore, devono ora fare i conti non solo con l’assenza dei prodotti di prima necessità – farina, latte, olio, carne – dagli scaffali dei supermercati, ma anche con il loro costo, ogni giorno più proibitivo.

A Caracas vige infatti dal 2003 una doppia politica cambiaria, che vede un cambio ufficiale con il dollaro fermo a 6,3 bolivares per biglietto verde e un cambio ufficioso di mercato – dove si acquista la valuta americana, che le rigide regole del governo non autorizzano, ma anche euro – giunto oggi fino ai 424 bolivares per dollaro. La valutazione è di DolarToday, sito che dalla cittadina colombiana di Cucuta, al confine con il Venezuela, aggiorna il mondo latino sul valore di mercato della divisa venezuelana. Per rispondere al gap di realtà, l’esecutivo nello scorso marzo ha intrapreso due strade. Una mediatica, oscurando DolarToday così come altri siti tra cui Amazon, Pinterest e Snapchat, e dichiarando guerra a Google e Mozilla. E una economica, lanciando due nuovi livelli di cambio, a 12 e 199 bolivares per importazioni prioritarie. Non è bastato, e solo nel mese di maggio il bolivar ha perso sul mercato oltre il 30% del suo valore, passando dai circa 300 a punte di 441 nei giorni scorsi.Qualcosa è cambiato negli ultimi tempi. Per anni il cambio di mercato si era sempre mantenuto vicino al cosiddetto “cambio implicito”, cioè il numero di bolivares in circolazione diviso per le riserve straniere detenute da Caracas. In alcuni periodi il cambio implicito aveva addirittura superato il cambio di mercato, restituendo il segnale di un Paese che aveva fiducia nella propria moneta. Oggi la situazione è ribaltata, e il cambio di mercato vale tre volte il cambio implicito, nonostante l’involontario aiuto del deterioramento dei conti pubblici, nella fattispecie la corposa riduzione delle riserve straniere. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, per la società di ricerca e consulenza Latinvest Group Holding il Paese ha perso oltre 7,3 miliardi di dollari delle sue riserve straniere in soli 3 mesi: si sono ridotte a 16,9 miliardi. Un livello che non si vedeva dal 2003, quando il prezzo del petrolio era intorno ai 20 dollari al barile. Oggi il greggio viaggia a ridosso dei 60 dollari.

Nonostante ciò, e, anzi, forse proprio per questo, si guarda con preoccupazione alle scadenze dei titoli di Stato: di qui alla fine dell’anno è previsto un esborso di circa 5 miliardi di dollari. La sfiducia sembra dominare nel Paese che diede i natali a Simon Bolivar. Non solo nella propria moneta – il dollaro rappresenta infatti un “bene rifugio” e per questo è ambito – ma anche nella capacità di ripresa della República. Secondo un sondaggio di maggio della Universidad Católica Andrés Bello (UCAB), tra le più autorevoli del Paese, il 50% dei venezuelani vede un Paese in regresso, mentre un ulteriore 37% lo percepisce fermo.
Nelle carceri, nonostante le proteste dell’Onu, restano 77 prigionieri politici, compreso Leopoldo Lopez, leader dell’opposizione, che da circa due settimane sta portando avanti con altri 10 oppositori del governo uno sciopero della fame. L’attenzione delle autorità, però, sembra fermarsi qui. La criminalità resta un’emergenza: nel 2014, secondo l’Osservatorio venezuelano sulla violenza, si sono contati 24.980 omicidi. Un livello che ne fa il secondo Paese al mondo per morti violente. E sono un incentivo in più, per chi ne ha la possibilità, a dirigersi verso altri lidi. Se i più facoltosi si sono trasferiti a Miami già da qualche anno, Bogotà sta rappresentando negli ultimi tempi un approdo molto soddisfacente per una fascia sempre più ampia della classe media venezuelana. Un fenomeno che interroga gli stessi colombiani sul cambiamento della propria struttura sociale, culturale ed economica. E rappresenta l’altra faccia della miope denuncia fatta qualche giorno fa da Maduro, scagliatosi contro l’emigrazione colombiana in Venezuela, parlando di “emergenza umanitaria”.

Il successore di Hugo Chavez ha definito la Colombia un “esportatore netto di povertà nei confronti del Venezuela”, con 180mila ingressi solo nell’ultimo anno per una comunità complessiva di 5,6 milioni di persone. “Quando le famiglie colombiane arrivano in Venezuela, non lo fanno con ricchezze e proprietà, ma arrivano con la povertà”, ha dichiarato. E infatti chi si trasferisce da Bogotà a Caracas è allettato non solo dalla possibilità di avere università e sanità gratuite, ma anche dall’opportunità di sfruttare la forza relativa della propria moneta, contro la caduta libera del bolivar. Quanto durerà ancora tutto questo non è prevedibile. A novembre intanto, salvo cambi di programma in corsa, si terranno le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale.
Ilfattoquotidiabo
#cosmodelafuente


junio 06, 2015

FAO, venezuelani protestano a Roma contro il premio a MADURO





Protesta contro la FAO, sospetta compera del premio.
I venezuelani si ribellano! Maduro non merita quel premio perchè il Venezuela sta morendo di fame.
Da leggere!!
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http://www.newnotizie.it/2015/06/fao-i-venezuelani-dicono-no-a-roma/