septiembre 27, 2007

Non solo Birmania



Foto che appare nel quartiere '23 de enero di Caracas'
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Non solo in Birmania, anche in Venezuela il governo si rende complice di silenzi inaccettabili, cosa c'è sotto? Non esiste dittatura che possa essere accettata nè dalle sinistre e nemmeno dalle destre nel mondo.

Il silenzio del Governo a un anno dalla morte di Elena Vecoli
di Francesca Burichetti
Article content:
È passato un anno dalla morte di Elena Vecoli, la ragazza aggredita e uccisa nel sonno in una camera di albergo a Los Roques, l'arcipelago corallino del Venezuela, dove si trovava in viaggio di nozze. Dapprima si parlò di un tentativo di furto, ma poi l'ipotesi si spostò sullo scambio di persona. La notizia tenne banco sulle pagine di cronaca di tutti i giornali e sui tiggì, salvo poi, come ogni buon episodio di cronaca nera, finire nel dimenticatoio. In data 7 settembre 2007 l’Occidentale ha pubblicato un articolo dal titolo, “Terrore, omicidi e sequestri nel Venezuela di Chavez”. Un Paese dove criminalità e delinquenza dettano le regole della quotidianità e dove i reati rimangono impuniti o cadono nel silenzio più assordante. Come per Elena, “abbandonata perfino dalle autorità italiane”, spiega la mamma Rossana Filipetto Vecoli, che, dopo aver letto la testimonianza del nostro corrispondente da Caracas, Enrico de Simone, ha deciso di raccontare, attraverso un commento prima e una intervista poi, il dolore per una vicenda con troppe ombre.
Signora Vecoli, nel commento che ha lasciato su l’Occidentale ha detto che “quanto alle cause dell’omicidio, l’ipotesi del furto pare essere superata: è più probabile che si sia trattato di uno scambio di persona”. Ma allora il caso è stato archiviato? “Sì. Avrebbero dovuto fare l’autopsia al corpo di mia figlia, ma dopo appena sei mesi di ricerche improvvisamente è stato archiviato tutto, nonostante i carabinieri avessero raccolto un fascicolo molto corposo sulle indagini. Non sappiamo che fine abbia fatto quel fascicolo: molto probabilmente non è stato mai letto da nessuno ed è stato dimenticato in qualche archivio. Per di più nessuno è riuscito a darci una motivazione precisa sul perché sia stato deciso di archiviare il caso così in fretta.”
I contatti con le istituzioni come sono stati? Il governo ha seguito la vicenda?“No, per niente. La nostra sensazione è stata quella di un totale abbandono. Ci siamo sentiti cittadini di serie C. In Italia se non sei un sindacalista,un parlamentare o un pezzo grosso, nessuno ti considera. Non abbiamo mai ricevuto alcuna informazione ufficiale. L’unica fonte diretta è stato Riccardo, mio genero, che però non ricorda granché. Gli era infatti stata somministrata della scopolamina, una droga molto pesante e ben conosciuta nell’ambiente venezuelano”.
Perché, secondo lei, questa indifferenza del Governo?Da quando mia figlia è morta leggo tutti i giorni on line “El Universal”. Quello di cui mi sono resa conto è che in Venezuela i delitti, di cui sono vittime soprattutto i turisti, sono all’ordine del giorno. Ma la stampa è costretta a censurarli: non può riportarli tutti. Inoltre la gente ha paura di parlare, teme ritorsioni. E il governo italiano sta coprendo tutto questo scandalo. L’impressione che abbiamo avuto è che non si vogliano destabilizzare gli equilibri politico economici che l’Italia mantiene con il Venezuela, produttore di droga e di petrolio. Tutto ruota attorno agli interessi”.
Cosa avete fatto una volta appresa la notizia? “Di tutto, per di scoprire la verità. Ma ogni tentativo si è scontrato con l’indifferenza del Governo italiano. Devo riconoscere il fondamentale supporto dell’onorevole Riccardo Migliori, reggente del coordinamento toscano di Alleanza Nazionale, che, appena appresa la notizia ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, per chiedergli quali provvedimenti avesse intenzione di prendere, in tutela di tutti gli italiani che all’estero sono stati vittime di aggressioni, sequestri e omicidi”.
E D’Alema come ha risposto?“La risposta è arrivata soltanto due mesi dopo e non direttamente da D’Alema. Abbiamo ricevuto una lettera del viceministro degli Esteri, Franco Danieli, ma non diceva niente di concreto, nessuna proposta risolutiva valida: soltanto parole, parole, parole! A novembre 2006 il viceministro si è recato addirittura in Venezuela. Ci aspettavamo di ricevere qualche informazione più chiara su quanto stesse accadendo ma Danieli si è limitato a dire che ‘aveva parlato di noi’”.
Tornando al commento su l’Occidentale, lei ha detto di aver mandato una lettera alla Farnesina per chiedere di eliminare Los Roques dalla lista delle località sicure del sito http://www.viaggiaresicuri.it/. Può raccontarci meglio la vicenda?“Io e mio marito scrivemmo una lettera con ricevuta di ritorno a Massimo D’Alema proprio il 16 ottobre 2006, quando intervenne al Tg1 delle 13:30 commentando il rapimento del reporter Gabriele Torsello, in Afghanistan. Allora D’Alema disse che “il Governo italiano lo aveva avvertito della pericolosità della sua missione e lo aveva sconsigliato”. E aggiunse una sorta di appello ai cittadini, un invito a non recarsi nelle zone pericolose. A seguito di queste dichiarazioni ci sembrava legittimo chiedere a D’Alema di provvedere concretamente e far eliminare Los Roques dalle mete sicure”.
Che cosa le è stato risposto? “Non si è fatto vivo nessuno, quindi siamo stati costretti ad inviare una seconda lettera. Solo allora è arrivata una risposta da parte di Elisabetta Belloni, il capo dell’Unità di crisi del ministero degli Esteri,che, a nome della Farnesina, si è scusata dicendo addirittura di non aver ricevuto la missiva precedente. Inoltre, si è gentilmente preoccupata di portarci le condoglianze del ministro degli Esteri. Nella lettera però non si leggeva niente di confortante: ci è stato banalmente detto che non ci avrebbero potuto promettere niente, senza alcuna motivazione aggiuntiva”.
Quindi cosa avete fatto?“Delusi dalla superficialità con cui D’Alema aveva trattato la nostra richiesta, abbiamo provato a scrivere al ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Anche questa volta abbiamo mandato una raccomandata con ricevuta di ritorno e anche in questo caso non è stato sufficiente. Infatti, per essere degnati delle attenzioni del ministro, abbiamo dovuto inviare una seconda sollecitazione. Solo allora siamo stati invitati ad incontrare Mastella”.
Come si è concluso l’incontro? A questo punto la vostra richiesta è stata accolta?“Siamo stati ricevuti nel marzo 2007. Ma l’incontro è stato pietoso. Mastella aveva tutta l’aria di non aver letto nessuna delle nostre lettere e di non essere affatto a conoscenza della vicenda. Dopo aver tentennato un po’, non sapendo cosa dirci, ci ha affidato al vice capo gabinetto, un certo dottor Carmelo Celentano, promettendoci che si sarebbe occupato lui di andare fino in fondo e fare chiarezza sulla vicenda. Quel giorno il dottor Celentano ci ha lasciato tutti i suoi contatti, ma non si è fatto più sentire, né ha risposto alle nostre chiamate. All’inizio di settembre 2007 abbiamo saputo da un segretario che era stato trasferito in Cassazione. Il segretario si è limitato a dirci che il caso era in mano a un’altra persona, senza però sapere di chi si trattasse. Da allora siamo in attesa di ulteriori notizie, sperando che ci sia presto un’evoluzione”.
Ci sono stati altri tentativi di dialogo con le istituzioni?“Siamo stati ricevuti dall’ambasciata italiana del Venezuela, a Roma. Qui abbiamo incontrato Adriana Chaves, moglie di Rodrigo Chaves, vice ministro degli esteri venezuelano e amico del presidente, Hugo Chavez. Quell’incontro ci dette tanta speranza. La signora Chaves ci lasciò i suoi contatti dicendo che appena rientrata nel Paese ci avrebbe fatto avere notizie. Ma da allora non l’abbiamo più sentita e ogni volta che abbiamo provato a contattarla si è sempre fatta negare”.
Avete cercato un contatto anche con il Venezuela?“Abbiamo preso i contatti con il Consolato italiano in Venezuela: sono stati molto gentili. Hanno cercato di dirci tutto quello che sapevano, ma non rientra nei loro compiti. Dovrebbe essere il Governo italiano a far pressione affinché il caso venga portato a termine”.

Nonostante l'indifferenza dei ministri D'Alema e Mastella, in politica però qualcosa si muove. Oggi, esattamente a distanza da un anno dalla morte di Elena, verrà presentata in Parlamento dal senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello un’interpellanza per cercare di far luce sul caso.

septiembre 25, 2007

Gli ayatollah sbarcano tra gli indios venezuelani



Partendo da un punto di vista che non voglia, obbligatoriamente, stare da una parte o dall'altra della politica, per il bene dei venezuelani e del nostro paese Venezuela cosa ne pensiamo dell'articolo che segue?


Gli Ayatollah sbarcano tra gli indios di Chàvez
Renato Farina
Dalla foresta amazzonica a internet il passo è breve. Da lì si espande per l’orbe il nuovo verbo. Gli indios Wàyuu si sono convertiti all’Islam. Ecco come si presentano: "Hezbollah Venezuela. Línea internacional anti sionista, anti imperialista, propone la teocracia islámica mundial. Línea nacional contra el vicio, inmoralidad, criminalidad y corrupción. Propone la nación teocratica islámica". Non c’è bisogno di traduzione. Si prosegue con due grandi fotografie dei massimi profeti a pari merito. La prima è di Hugo Chàvez, il presidente del Venezuela. Segue Khomeini. È lui il riferimento religioso. Altre fotografie. Quella del comandante Teodoro Rafael Darnott. Ha gli occhiali, si vede che è un intellettuale. Poi ecco le ragazze indie con il chador insieme con una psicologa sociale, inviata lì da Chàvez. Quindi, dinazi alla scritta Islam Hezbollah e kalashnikov ecco gueriglieri mascherati, con cinturoni da kamikaze. Si può cliccare su radio islam. Al centro compare un ologramma. Si vede un serpente da cui spunta una croce stilizzata, e si sente l’esplosione di una bomba.
Altri scritti ivi presenti, a più tardi. Intanto è possibile segnalare questi due fatti. 1) Gli indios Wàyuu, l’etnia più numerosa, che vive nomade tra Colombia e Venezuela è oggi colonizzata dagli sciiti iraniani e libanesi. Quanti tra i 500 mila? Non si sa. 2) L’alleanza evidente tra un movimento che appoggia la guerra santa e Chàvez.
Domanda a Bertinotti e a quanti sulla sinistra, comprese le Jene berlusconiane omertose e il segretario del sindacato dei giornalisti Paolo Serventi Longhi, si sono prestati alla propaganda del neo-dittatore: è roba bella e pacifica, va tutto bene? In Italia chi osa fare un leggero pernacchio al mito rivoluzionario e bolivariano è subito investito da ondate di email furenti. Ne sanno qualcosa i dissidenti venezuelani. Persino il povero segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che sulla Stampa ha raccontato un allucinante viaggio in questo regime neocomunista, è stato trattato come un volgare teppista della disinformazione. Chàvez dittatore? Chavez nemico dei poveri? Il leader della lobby dei chavisti italiani è Gianni Minà. Gli sottoponiamo la pratica. Com’è possibile l’alleanza conclamata tra un democratico progressita e chi proclama il suo disegno di teocrazia? Misteri della dialettica marxista, adesso insegnata obbligatoriamente nelle scuole e nelle università. E se le scuole cattoliche si rifiuteranno di adeguare i programmi, verranno confiscate. C’è peraltro un nuovo raggruppamento latino americano, si chiama teologia islamico-cristiana della liberazione. I preti guerriglieri non finiscono mai di sbagliare: adesso si alleano pure con gli imam che sono guerrieri per fede. Bibbia, Corano e Capitale.
Torniamo in Amazzonia. La storia di questa penetrazione è presto detta. Gli arabi musulmani in America Latina ci sono da secoli. Nei libri di Garcia Marquez sono detti “i turchi”. Ma non avevano pretese di tipo egemonico. Facevano i loro commerci e stop. Da qualche anno sono arrivati cospicui finanziamenti. I libanesi sciiti hanno allacciato legami fortissimi con la casa madre di Beirut. E Hezbollah è diventata una sigla che ha rappresentanza in tutto il Cono Sur (leggi America Meridionale). Gli attentati in Argentina antiisraeliani del 1992 e 1994, con centinaia di morti (tutti hanno dimenticato, ovvio), avevano questa matrice, anche se Hezbollah si è detta innocente. Così quando è stato fatto esplodere in volo sopra Panama un aereo carico di ebrei (21 morti), apparve una sottomarca di Hezbollah, ma niente di ufficiale. Il fatto è che Hezbollah, il Partito di Dio, è stato capace di aggregare sotto le sue insegne e la sua potenza ideologica i terroristi marxisti allo sbando. Ha saputo infiltrarsi e infine dirigere il narcotraffico, attraverso le Farc colombiane, e ha buoni addentellati in Bolivia, dominata da un altro dittatore, Evo Morales, che sta instaurando una Repubblica Comunista Indigenista, dove tutti gli spazi di libertà stanno venendo meno. I Marxisti e islamici uniti nella lotta, e tutti amici di Chàvez. Un’amicizia che è diventata alleanza militare e religiosa a livello internazionale. Non teme di allearsi alle varie mafie, di far denari con la cocaina. (Il 70 per cento degli utili, secondo fonti della polizia equadoriana, finisce agli Hezbollah per finanziare la guerra ad Israele e le milizie terroriste).
Chàvez fornisce uranio (anche se nega) ad Ahmadinejad, il leader iraniano. Ha invitato i propagandisti sciiti. Allontana i missionari cattolici e protestanti, definiti spie degli americani. Tiene un dialogo aperto con il più famoso terrorista comunista del mondo, Ilich Ramirez Sanchez detto “Carlos lo Sciacallo”. Costui sta in carcere a Parigi dove ha confessato di (non) avere sulla coscienza omicidi (i francesi gliene attribuiscono come minimo 83). E Chàvez lo ha definito “amigo” e “distinguido compatriota”. Carlos si è fatto islamico, appoggia questa alleanza, e ritiene che Al Qaeda dovrebbe lasciarsi organizzare al meglio da agente come lui.
Hezbollah sta – secondo il settimanale tedesco “Spiegel” - penetrando anche in Chapas dove regna il subcomandante Marcos. E c’è sempre, in questa avanzata, la mescolanza di droga, armi, ideologia. E gli indios, che detestavano farsi fotografare perché ritenevano fosse un furto della loro anima, ora posano per la propaganda. Gli hanno spiegato anche che prima che arrivasse Colombo erano giunti prima i musulmani e che la civiltà aztecha era islamica.
La Chiesa cattolica cerca di difendersi come può. Molti vescovi prima teneri con i partiti di sinistra adesso denunciano l’oppressione e la violenza contro i sacerdoti, non più vittime come anni fa dei latifondisti che armavano bande paramilitari, ma di questi marx-islam-narco militanti.
Ultime notizie dagli islamici indios.
1) Messaggio da Ismilahi Rahmani Rahim: . Segue nostra traduzione: . Firmato: Hezboallah Americalatina.
2)Manifesto con gigantografia di Hugo Chavez: .
3) Khomeini: .

septiembre 22, 2007

La Chiesa in Venezuela (2nda parte)

Quest'articolo ci è stato segnalato e lo pubblico volentieri

DOC-1891. CARACAS-ADISTA. Se i rapporti tra il presidente Hugo Chávez e i vertici ecclesiastici venezuelani non sono mai stati amichevoli - il sostegno di alcuni vescovi al golpe antichavista dell’11 aprile del 2002 è storia già scritta - la riforma della Costituzione, annunciata dal presidente già all’indomani delle elezioni del dicembre 2006, ha ulteriormente acuito le tensioni. Nell’Esortazione pastorale diffusa dai vescovi il 7 luglio scorso, in occasione della loro 88.ma Assemblea plenaria, l’attacco al progetto di riforma costituzionale, sferrato peraltro prima che tale progetto fosse presentato, è stato durissimo: "I temi al centro dei cambiamenti costituzionali, così come sono stati ventilati dall’opinione pubblica, e, soprattutto, la modalità stessa del processo di elaborazione, che non accoglie sufficientemente lo spirito di partecipazione richiesto dalla Carta costituzionale, destano seri dubbi sulla natura democratica della riforma. Diverse decisioni ufficiali, come pure lo slogan ‘Patria, socialismo o morte’, e dichiarazioni del presidente e dei portavoce del governo fanno supporre che tale riforma si orienti verso l’introduzione di un sistema socialista fondato sulla teoria e la prassi del marxismo-leninismo".
Secondo i vescovi, altri sono i problemi di cui dovrebbe occuparsi il governo: la povertà, la disoccupazione, gli insufficienti servizi pubblici, i bambini di strada, gli anziani abbandonati, la violenza crescente e pure gli attentati alla libertà d’espressione, tra cui risalta il rifiuto del governo di rinnovare la concessione a "uno dei più importanti canali televisivi del Paese" (è con soddisfazione che la Conferenza episcopale plaude al "movimento studentesco che, con creatività e coraggio, sotto le consegne della libertà e della riconciliazione" è sceso in strada a difendere il diritto all’informazione). Attaccando il presidente sul suo terreno, quello delle conquiste sociali della rivoluzione bolivariana, l’episcopato si è poi detto inquieto per il fatto che "si intenda risolvere i problemi sociali che ci opprimono con misure populiste, invece di utilizzare le abbondanti entrate petrolifere per trovare soluzioni strutturali alle nostre gravi deficienze". Infine, i vescovi hanno denunciato la tendenza di Chávez "a insultare o aggredire persone o istituzioni che dissentono dalle sue opinioni o progetti". "Il Venezuela ha bisogno di benedizioni, non di improperi. Ha bisogno che si applichi la Costituzione vigente, non una nuova", e ha bisogno che si ponga fine all’odio e agli insulti e che "i suoi figli e figlie si riconcilino, si rispettino e vivano in pace".
Quello che i vescovi non dicono
Ma sulla rivoluzione bolivariana guidata dal presidente Chávez, che, a proposito di insulti, è stato definito dal card. Rosalio Castillo Lara "dittatore paranoico" ed è stato paragonato da mons. Baltazar Porra, arcivescovo di Merida e attuale primo vicepresidente del Celam, a Hitler e Mussolini, la Conferenza episcopale non dice proprio tutto. Nessun accenno, ad esempio, a quanto ripetutamente espresso da Chávez riguardo al socialismo del XXI secolo, così battezzato proprio per distinguerlo da modelli socialisti precedenti, di cui il nuovo socialismo dovrà, tra le altre cose, superare l'assenza di partecipazione popolare al processo decisionale, la mancanza di pluralismo, il capitalismo di Stato, lo scarso rispetto dei diritti umani. Ma, soprattutto, nulla dicono i vescovi delle Missioni sociali, dei programmi educativi, della rivoluzione in campo sanitario, delle misure orientate a porre le basi di uno sviluppo endogeno, il tutto realizzato proprio con "le abbondanti entrate petrolifere", quelle che, prima di Chávez, si intascava direttamente l’oligarchia senza per questo attirarsi le critiche dell’episcopato: "Più di 3 milioni di ettari – scrive, a proposito della campagna di diffamazione condotta contro il presidente venezuelano, Ignacio Ramonet – sono stati distribuiti ai contadini. Milioni di bambini e di adulti sono stati alfabetizzati. Sono stati costituiti migliaia di dispensari medici nei quartieri popolari. Decine di migliaia di persone senza mezzi sono state operate agli occhi gratuitamente. I prodotti alimentari di base sono sovvenzionati e offerti ai poveri a prezzi inferiori del 42% a quelli di mercato". Con il risultato che tra il 1999 e il 2005 il numero di poveri è sceso dal 42,8% della popolazione al 33,9% e quello delle persone impegnate nell’economia informale dal 53% al 40%, con una crescita economica del 12% negli ultimi 3 anni, tra le più alte al mondo.
Tanto meno ricorda, l’episcopato, a proposito del mancato rinnovo della concessione alla Rctv, il ruolo fondamentale svolto dall'emittente televisiva privata durante il golpe 2002 e la sua costante difesa degli interessi imperialisti Usa.
"Decide il popolo"
In risposta alle critiche dell’episcopato, Chávez ha invitato i vescovi, qualificati come "ignoranti, bugiardi e ingannatori", a recitare "100 Padre Nostro e 100 Ave Maria come penitenza" per le menzogne espresse riguardo alle modalità del progetto di riforma (portato avanti, secondo i vertici della Conferenza episcopale, in "laboratori e gruppi chiusi", senza alcun coinvolgimento della popolazione), ricordando come, in base alla Costituzione bolivariana del 1999, "qualunque riforma" del testo debba essere presentata e discussa all’Assemblea Nazionale e poi approvata in un referendum popolare: "Se il popolo dirà no - ha affermato -, sarà no, io farò sempre quello che decide il popolo". Quanto ai contenuti (di cui la stampa italiana ha evidenziato appena l’elemento di colore costituito dalla proposta di assegnare alla capitale Caracas un nome più legato alla tradizione: Cuna de Bolívar y Reina del Guaraira Repano, cioè culla di Bolívar e Regina del Mare fatto Terra), presentando lo scorso 16 agosto la proposta di riforma, relativa a 33 dei 350 articoli della Costituzione del 1999, il presidente ha sottolineato la volontà di avanzare verso la "costruzione della patria socialista", rafforzando la partecipazione del popolo attraverso i consigli comunali, i tavoli tecnici dell’acqua e dell’energia e altri meccanismi di organizzazione popolare.
Non tutta la Chiesa, in ogni caso, è in linea con i vertici ecclesiastici. Come ha sottolineato lo stesso Chávez, esiste un "gran numero di parroci e sacerdoti veramente cristiani, che camminano con il popolo e condividono la speranza popolare: quelli sono veri sacerdoti, gli altri sono dei farisei, degli ipocriti, come diceva Gesù stesso". Di queste voci solidali al processo della rivoluzione bolivariana, nonché al progetto di costruzione di una società socialista, riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, quella del parroco di San Buenaventura del Roble a San Félix Matías Camuñas (ripresa da Adital del 9 luglio) e quella della religiosa del Sacro Cuore di Gesù Jacquelin Jiménez, dell’Associazione civica incontro ecumenico "Juan Vives", Ecuvives (tratta dal bollettino settimanale Alas del 25 agosto). (claudia fanti)

septiembre 20, 2007

Primo Levi


Tutto inizia con il despotismo, vietando di pensare e di parlare. Non esistono colori politici quando si parla di questo, gli estremismi di destra e di sinistra possono congiungersi fino al punto di togliera la libertà di pensiero.
Quanto ha contribuito l'Italia...o meglio, quella parte d'Italia all'olocausto? La testimonianza di Primo Levi e di molti altri ti invitano a pensare.
Perchè a un certo punto alcuni uomini si arrogano il diritto di togliere la libertà agli altri?
Osservando la vergogna dell'umanità, della deportazione e del genocidio dei lager ad opera dei tedeschi dobbiamo riflettere e non dimenticare mai che, da un momento all'altro, qualcuno potrebbe impadronirsi delle nostre vite.
Testimone 'comodo' del massacro è stato Primo Levi, già dal suo primo libro 'Se questo è un uomo' possiamo sentire quanto possa essere crudele l'animo umano contro sè stesso. Basta un pazzo che si senta 'essere' superiore per scatenare l'orrore. Un diario giornaliero dell'inferno vissuto a contatto con le SS e con la macabra organizzazione dei Lager. Hitler aveva dalla sua un carisma che non restava indifferente e, secondo Levi, anche il popolo comune sapeva, ma non fece nulla per cambiare. Il suo dio era Adolph e non poteva certo opporsi al suo volere ma avrebbe potuto informare il resto del mondo con i mezzi di allora. Anche Mussolini riusciva a catturare l'attenzione con i suoi discorsi e il suo modo di parlare. Ma com'è stato possibile che la gente credesse in lui fino a portare il paese allo stato di sudditanza?Sinceramente, quando un capo di stato cambia le leggi a suo piacimento, è un campanello d'allarme che si accende.
CdF

septiembre 16, 2007

Lo dice Bruno Vespa: 'Voglio difendere i diritti dei padri separati'


E io voglio difendere i diritti dei padri separati
Posso prendere le difese dei padri? Non dei padri violenti. Ma delle centinaia di migliaia di padri separati o divorziati che hanno difficoltà a incontrare i propri figli.E che possono arrivare anche a gesti disperati come quello di Nicola De Martino che pochi giorni ha tentato di darsi fuoco in diretta tv.Divorzi e separazioni sono aumentati in modo esponenziale. Sommati, erano 40 mila nell’80, 72 mila nel ’90, 100 mila nel 2000, 128 mila nel 2004 (ultimi dati Istat disponibili: 83 mila separazioni, 45 mila divorzi). I bambini e i ragazzi minorenni coinvolti sono una legione: oltre 85 mila nel solo 2004. Presi tutti assieme, i figli minori di genitori separati superano largamente il milione. Soltanto nel 6% delle cause di divorzio, il figlio viene affidato al padre. Tolti i numerosi casi in cui i figli hanno un’età tenerissima e le circostanze più rare in cui uno dei genitori ha una condotta di vita tale da non meritare l’affidamento, resta un bel mucchio di cause in cui l’affidamento alla madre viene concesso innestando il pilota automatico. E questo non sta bene. Non sono infatti frequenti, purtroppo, le separazioni e i divorzi in cui i genitori mantengono un buon rapporto che si ripercuote sullo stato d’animo dei figli. La recente legge sull’affido condiviso - frutto di una civilissima scelta - non sta dando a quanto pare i risultati sperati perché la gestione pratica è complicata.Chi ha avuto in affidamento i figli (quasi sempre la madre) talvolta purtroppo non resiste alla tentazione di farne un’arma micidiale per colpire il coniuge. Con esiti devastanti per l’intera famiglia.I giudici dovrebbero dunque analizzare con più equilibrio le singole situazioni familiari. Se la mamma è casalinga ha certamente dei punti in più rispetto al padre che lavora tutto il giorno. Ma se la madre lavora come e più del padre - e capita sempre più spesso - è necessaria una valutazione meno scontata. La verità è che talvolta la parità dei diritti risulta paradossalmente compromessa ai danni degli uomini. Sfioro qui un altro tema che mi renderà impopolare a molte lettrici. Siamo proprio sicuri, in coscienza, che all’interno di una coppia non sposata e non convivente il padre del nascituro non abbia il diritto di dire alla compagna che ha deciso l’aborto: ti prego, metti al mondo il bambino e lascialo a me?
Ecco il link
In un momento come questo in cui si parla di molti, troppi bambini maltrattati, uccisi, violentati, dobbiamo concentrare le nostre energie contro questi mostri e contro la pedofilia, denunciando qualsiasi atto di questo tipo. Non si può continuare a combattere 'il padre separato', ogni bambino ha diritto a entrambi i genitori, ogni genitore ha diritto di veder crescere il proprio figlio.

septiembre 15, 2007

Non solo Chacao

Una lettera a La Stampa da parte dell'ambasciatore venezuelano, tanto per mostrare anche un'idea diversa.

Gentile direttore,la ringrazio per la possibilità di controbattere alle affermazioni non veritiere espresse dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni il 5 settembre, nell’articolo «Chavez? Un grottesco dittatore», al suo rientro dal Venezuela, ospite dei «cugini» della Ctv (sindacato dei lavoratori venezuelani) che gli hanno consigliato di non muoversi dal quartiere Chacao. Deduco che il giudizio sul Paese sia nato e morto a Chacao, non «una zona franca», bensì un Municipio di Caracas, governato dalla destra, dove vive il 2% della popolazione, prevalentemente agiata. Forse Bonanni non sa che a Chacao nel 2002 a piazza Altamira per diversi mesi 80 militari in divisa, protetti e tutelati dal sindaco, chiamavano alla rivolta, condannati in contumacia per gravi atti di violenza. Così come non sa che la storia del sindacato venezuelano è anche una storia di collusioni con settori dell’oligarchia anche internazionale che hanno impedito un dialogo costruttivo con un governo che per la prima volta nega i privilegi «di casta». Il colmo dell’agire politico antipopolare e antidemocratico si è raggiunto con il contributo del Ctv all’organizzazione del colpo di stato dell’aprile 2002 (non «resistenza» a Chavez, come dice Bonanni), che ha causato la morte di decine di persone, con il rapimento del Presidente, eletto dalla stragrande maggioranza della popolazione che a gran voce ha chiesto la sua liberazione e l’ha riconfermato alla Presidenza (esistono documenti, testimonianze e atti processuali, facilmente reperibili). Mi dispiace che Bonanni abbia «avuto paura» a Caracas, ma avrebbe dovuto respirare un clima diverso da quello descrittogli dagli oppositori, magari parlando con la gente, compresi gli imprenditori italiani che lavorano con grandi profitti come attestano i contratti ultramilionari in atto, prendendo ad esempio l’Iveco, presenza storica nel Paese che sta portando avanti un progetto quinquennale con un investimento di mille milioni di dollari. Fa sorridere il richiamo all’Ue e all’Alto commissariato per i diritti umani dato che «l’opposizione venezuelana potrebbe non bastare». Nessun pericolo per nessuno a partire dagli italiani che sono nel cuore del nostro Presidente, che non a caso ha inviato qui me, di madre abruzzese-romana. Come si fa a tacere quando il segretario della Cisl, lasciando intendere per mano del governo Chavez, asserisce che «in due anni sono sparite cento persone. Molte di queste erano sindacalisti»?. Purtroppo le persone scomparse sono molte più di cento, contadini senza terra ammazzati da bande organizzate da quegli stessi latifondisti che Chavez combatte. Come si può dire che nel «Pantheon di Chavez c’è Mussolini»? Il Presidente conosce bene la storia europea e italiana e considera il pensiero di Gramsci un riferimento basilare per il processo bolivariano, difficile credere che possa apprezzare il suo carnefice! Come si può negare che l’enorme squilibrio economico in Venezuela sia il risultato del succedersi di governi che per secoli hanno approfittato dei beni della collettività (risorse naturali, frequenze radioelettriche occupate dai media privati per l’80%)? Il Governo Bolivariano, nonostante i continui attacchi e sabotaggi (con danni catastrofici di miliardi di euro durante la serrata di 63 giorni), ha invertito la tendenza con risultati tangibili in ogni settore: salute, istruzione, ambiente, conquiste sociali e culturali che permettono a tutti i venezuelani di vivere degnamente. E consente all’economia di crescere a un tasso, negli ultimi tre anni, del 9% del Pil. È proprio questa politica «a favore dei più deboli», di cui Bonanni racconta di non aver avuto percezione, su cui si fonda il grande consenso di Chavez. E la sua politica suscita sempre più interesse a livello internazionale proprio perché dà risposte alle esigenze di un popolo come raramente si è visto nella storia e come le stesse potenze economiche mondiali faticano a dare, su temi come crescita, sviluppo, energia, alimenti. Per constatarlo basta venire in Venezuela, non fermandosi a Chacao!
LA STAMPA
RAFFAELE LA CAVA

septiembre 14, 2007

Venezuela: gli italiani vivono nell'incubo



Ieri a 'Le Iene' un 'intevista ad un capetto dei 'ranchos' venezuelani, uno dei centinaia di killers che per poco più di 1.000 Euro uccide chi vuoi, basta una foto e il suo indirizzo.
Questo è il Venezuela di oggi, peggiorato moltissimo da quando c'è Chavez, la sicurezza non esiste. Caracas ha raggiunto il primo posto tra le città più pericolose del mondo e, fino a poco tempo fa era al secondo, perchè al primo c'era 'Il Cairo'.
Grazie Hugo!
Quello che segue è l'articolo di Paolo della Sala
Benvenuti nel cimitero dei morti viventi…Qui la vita non vale niente! I cani sono trattati meglio!” I detenuti italiani reclusi presso l’Internado Judicial de Los Teques, cittadina a quaranta chilometri da Caracas, ci accolgono con queste frasi lapidarie. Per giungere a questo carcere lugubre e fatiscente, dobbiamo risalire una collina lungo una stradina ripida che corre tra le baracche di un barrio, come si chiamano le favelas venezuelane. Entriamo nel cortile dove i detenuti hanno l’ora d’aria, accompagnati dal personale di una Ong del posto. I prigionieri sono al sesto giorno di sciopero della fame, per protesta contro i maltrattamenti delle guardie e le condizioni cui sono costretti a vivere. Incontriamo gli italiani: hanno perso chili e speranze, in questo inferno dantesco. Tutta l’Italia è rappresentata a Los Teques, da Bergamo alla Sicilia, da Roma a Napoli passando per Reggio Emilia e Bologna. “Gli abusi di ogni genere” ci racconta un detenuto “sono all’ordine del giorno. E’ una tensione continua. Siamo psicologicamente a pezzi. Di notte non ci fanno dormire, oppure veniamo coinvolti in un pestaggio in corso”. …Se siamo qui certamente non è perché trasportavamo cioccolatini, ma i diritti minimi dovrebbero essere garantiti”. Un altro ci ricorda che in carcere si deve pagare ogni cosa: “Qui tutto si paga a prezzi triplicati perché ogni cosa è gestito dai capi banda interni”. “Il cibo è immangiabile” -grida un altro detenuto- “…Tutti i giorni si mangia arepa –un impasto di farina di mais fritto con sardine e acqua”. Chi è diabetico non ha la giusta dose di insulina, e le medicine si pagano care. Alcuni hanno la dissenteria e chiedono disperatamente degli antibiotici. Altri non riescono più a comunicare col proprio avvocato. C’è chi cerca soltanto una parola di conforto. C’è polemica tra gli italiani detenuti. Si sentono abbandonati e traditi: i sussidi economici erogati dal governo di Roma arrivano con grande ritardo. Accusano Teodoro Mascitti, vice console onorario di Los Teques, responsabile dell’erogazione dei contributi: “Il denaro arriva ogni quattro o cinque mesi, e quasi sempre senza arretrati. Questo non succede agli spagnoli o ai polacchi!”. Passi il ritardo, ma è la mancanza degli arretrati a scatenare la rabbia dei detenuti. Per fortuna c’è anche l’altra faccia della medaglia, quella dell’efficienza e della solidarietà priva di burocrazia, che nasce dalla forza e dalla perseveranza di un sacerdote italiano. Si tratta di padre Leonardo Grasso, da dieci anni in Venezuela, che insieme alla ong Icaro assiste i detenuti italiani con un sostegno spirituale e anche con viveri e medicine di prima necessità. Alcuni finanziamenti arrivano grazie a una convenzione con il Consolato Generale di Caracas, che finanzia direttamente il progetto di assistenza. Un esempio di efficienza da parte delle nostre istituzioni, e di pragmatismo di una piccola Ong. “Tutto ciò -dice Padre Leonardo- nasce dalla volontà di rispondere alle necessità dei detenuti italiani che, anche se colpevoli, sono sempre delle persone con una loro dignità. Un dramma che incontriamo in tutti i penitenziari venezuelani”. Italiani che non fanno notizia, e quindi sono dimenticati da tutti e lasciati in balia della violenza e di una burocrazia oppressiva. L’Italia ha in Venezuela il gruppo di carcerati più consistente di tutto il continente sudamericano. Secondo i dati del Ministero degli Esteri italiano si tratta di quaranta persone, tra uomini e donne. Secondo le Ong sono più di una sessantina, in maggioranza detenuti per traffico di droga, con una condanna media di otto anni. Qui non c’è garantismo, né arriva l’urlo di dolore dei Bertinotti e dei Prodi: siamo nel regno di Chavez. Fossero detenuti negli Stati Uniti diventerebbero dei Silvio Pellico, o almeno delle Silvia Baraldini. Nel regno marxislamico bolivariano vengono dimenticati.Il Venezuela detiene un triste primato: è la nazione con la più alta percentuale di morti negli istituti penitenziari. Con una popolazione carceraria di circa 19.000 unità, muoiono 350 prigionieri ogni anno, quasi uno al giorno, secondo quanto denuncia Humberto Prado -direttore dell’Observatorio Venezolano de Prisiones. I detenuti deceduti in carcere salgono di numero ogni anno, e a questi si deve aggiungere la mattanza “normale: 407 feriti nel solo primo semestre del 2006. Per non parlare degli arsenali di fucili, pistole, bombe lacrimogene e coltelli che emergono dopo ogni perquisizione, a causa della corruzione delle guardie carcerarie. A Los Teques le celle sono state completamente sventrate, per protesta, con i flessibili. I detenuti dormomo per terra, in stanzoni da ottanta persone con un solo bagno funzionante. Il carcere ha più di 800 prigionieri, invece dei 350 previsti. Quasi tutti sono in attesa di sentenza definitiva. Le norme igieniche sono quasi inesistenti e le infezioni ovviamente impazzano. In caso di malattia i detenuti devono pagare per avere cure in tempo utile. Ma spesso le cure vengono negate, per “motivi di sicurezza”. La vita, nel carcere di Los Teques, rispecchia quella di tutto il Venezuela, moltiplicata per cento in termini di violenza, mancanza di regole sensate, prevaricazioni e burocrazia. “Qui l’odore della morte ti accompagna sempre”, dice salutandoci un detenuto italiano. Non si vede l’alba e nemmeno il tramonto a Los Teques. Nel regno di Simòn Bolivar non c’è speranza per i poveri carcerati. Qui non vengono i medici cubani pagati da Chavez, il militare golpista abbracciato nel parlamento di Roma. In Venezuela i paladini degli oppressi toccano Caino, anzi lo prendono a calci.

septiembre 10, 2007

La Chiesa in Venezuela



AMERICA/VENEZUELA - Preoccupazione della Chiesa locale per l’esproprio di scuole e centri sanitari cattolici da parte del Governo
Roma (Agenzia Fides) - L’Opera di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) ha ultimamente denunciato il crescente timore manifestato da sacerdoti e laici che il governo espropri le scuole cattoliche del paese.“Un sacerdote che dirige una scuola si è detto preoccupato per la confisca da parte del governo di scuole e centri sanitari della Chiesa, come parte del programma di nazionalizzazione dei settori dell’istruzione e sanitario”, riporta il comunicato dell’ACS.Le scuole nel paese sudamericano “si vedono sempre più minacciate” perchè lo Stato esercita la sua influenza nell’insegnamento, obbliga ad utilizzare esclusivamente “materiale approvato” e promuove l’indottrinamento della popolazione.Il responsabile dei progetti di ACS per l’America Latina, Javier Legorreta, ha notato una “crescente minaccia” per la Chiesa in Venezuela. “La Chiesa venezuelana ha bisogno innanzitutto della nostra solidarietà, delle nostre preghiere e del nostro appoggio morale”, ha detto Legorreta.ACS è un’opera di aiuti internazionali di Diritto Pontificio, fondata in Germania poco dopo la Seconda Guerra Mondiale; attualmente è una delle cinque istituzioni cattoliche più grandi di aiuti internazionali nel mondo. Finanzia progetti in oltre 100 paesi.
Gabriel Costa

septiembre 05, 2007

Gigi Sabani... addio




Un saluto carissimo al grande e 'inimitabile' Gigi Sabani.

Ricordo che negli anni 90 registrai la sigla di 'Bravissima', trasmissione condotta da Valerio Merola e , in qualche maniera, c'era la collaborazione di Gigi Sabani che pochi anni dopo fu denunciato da Raffaella Zardo per molestie e balle del genere. Le solite cose, ragazzine pronte a tutto, decise ad andare fino in fondo per poter raggiungere il successo a un certo punto decidono di creare scandali e di rovinare chi si è sacrficato una vita per il proprio lavoro, come nel caso del grande Gigi.

Io ed altri artisti allora in erba eravamo in un hotel di Vibo Valentia per una manifestazione in cui era ospite Sabani, proprio vicino alla mia camera d'albergo che, conoscendo il carattere giocoso di Gigi decidemmo di fargli uno scherzo, in quattro entrammo nell'armadio a muro della mia camera e cominciammo ad ululare. Poco dopo salì il portiere dicendoci che Sabani si era lamentato perchè sentiva un cane che si lamentava, ma eravamo noi.

Ciao Gigi!

CdF

Clicca qui per vedere l'articolo su Raffaella Zardo, l'amica di Emilio Fede, scopri di cosa si parla

septiembre 03, 2007

Venezuela


Lei forse si ha domandato l'origine del nome di Venezuela. E' l'acqua nella laguna di Sinamaica, nello Stato Zulia, vicino di Maracaibo. Quando i primi esploratori arrivarono a Venezuela, tutto questo li fa ricordare la citta di Venezia, percio hanno battezzato a Venezuela con questo nome di "Piccola Venezia".
Venezuela possiede una geografia molto variata. Spiaggie, pianure, montagne. Il clima molto diverso tra un luogo al'altro. Si puó dire che ce ne per tutti i gusti.
Pedro Ruiz

septiembre 02, 2007

Dicono che sia un dittatore e che vieti anche la minigonna





Svolta totalitaria a Caracas, la minigonna diventa 'fuorilegge' per volere del pazzo dittatore Hugo Chavez.

L'ultima follia di CHavez, nella sua riforma costituzionale, il presidente del Venezuela mette al bando anche Babbo Natale e Topolino.

Silvia Guidi Caracas
Svolta totalitaria a Caracas
Strano che agli antiproibizionisti radical
chic di casa nostra piaccia così tanto il
presidente del Venezuela; Hugo Chávez
sarà pure l’icona anti imperialista più alla
moda dopo Fidel e Michael Moore,
ma, appena può, ci va giù duro con i divieti.
Non è l’unica “svista” famosa; quando i
no global hanno esultato per l’elezione
di Luiz Inacio da Silva in Brasile e diDaniel
Ortega inNicaragua,si sonodimenticati
di dire che Lulahabattuto il record
mondiale della corruzione e Ortega è un
ex stragista di indios. Ma torniamo a
Chávez. Nella sua proposta di riforma
costituzionale presentata a Ferragosto,
oltre a prolungare vita natural durante il
suo mandato (per il bene della Revoluciòn,
ovviamente) mette al bando di tutto,
dalle bevande alcoliche ai pantaloni
aderenti, bollati come “abbigliamento
indecoroso”. Nella lista nera finiscono
anche minigonne, bikini, tanga brasiliani
e non. Il tenente colonnello bolivariano
prestato alla politica se la prende anche
con Babbo Natale, Minnie e Topolino,
immagini “transculturizadoras” pericolose
per il popolo. Se la riforma passerà
(e non sarà difficile per il caudillo ottenere
il nulla osta da un Parlamento
che, in pratica, è totalmente schierato
con lui) il Grande Fratello comunista
metterà il naso dovunque: l’importazione
dei beni di lusso sarà ridotta al minimo,
non esisteranno più le carte di credito,
nessuno potrà aprire conti all’estero.
BARATTO E RAZIONAMENTI
Tutto o quasi sarà razionato, come in
guerra; chi fa la spesa avrà una tessera
alimentare da utilizzare nei mercati rivoluzionari
Mercal. Il governo emetterà
buoni e bonds e imporrà il “trueque”, il
baratto, sotto la supervisione delle milizie
popolari; stabilirà i salari minimi e sospenderà
lo stipendio a chiunque si rifiuti
di servire la rivoluzione. Fisserà i
prezzi; chi non si adegua al calmiere governativo
verrà punito con il sequestro
della merce. Di fatto, la proprietà privata
cesserà di esistere: fattorie e imprese
agricole diventeranno mini-fondi al servizio
della riforma agraria anticapitalista.
Sarà legittimo occupare gli immobili
vuoti. La normativa si spinge oltre: i proprietari
dovranno ospitare altre famiglie
(non oltre tre persone per stanza) e condividere
le aree comuni, come cucina,
salotto e bagno. Ogni patrimonio superiore
ai 7 milioni di bolivares viene automaticamente
incamerato dall’Erario,
che cambierà nome alla moneta e semplificherà
i conti cancellando gli ultimi
tre zeri.
I proletari (letteralmente “quelli che
hanno solo i figli”) non avranno più
neanche quelli: la patria potestà sarà
esercitata dallo Stato fino ai 21 anni. La
leva militare obbligatoria scatta dopo i
17 anni, sia per gli uomini che per le donne.
Le reclute dovranno sempre «essere
a disposizione della rivoluzione»; non
solo di quella di casa loro, anche il “regime
del miedo”, la prigione a cielo aperto
gestita dai fratelli Castro, oltre al totalitarismo
islamico di Ahmadinejad. «Dovranno
anche appoggiare e difendere in
caso di necessità i paesi alleati del Venezuela,
comeCuba, Nicaragua, Boliviaed
Iran» si legge in uno dei 33 ritocchi alla
Carta costituzionale, che mirano a trasformare
il Venezuela in una copia carbone
delcomunismo cubano (asua volta,
un calco del sistema sovietico ante
caduta del Muro).
Giro di vite anche nel campo dei media,
comein ogni tiranniachesi rispetti: solo
la nomenklatura avrà diritto alla tv satellitare
e via cavo. «La telefonia mobile sarà
diunoesclusivo dello Stato,nontutti i
cittadini potranno accedere ad internet,
i computer portatili dovranno essere registrati
» spiega a Libero Milagros Gil
Quintero, una dissidente che paga la sua
lotta per il rispetto dei diritti umani con
l’esilio, «saranno espropriate tutte
le reti televisive; al proprietario sarà
riconosciuto il 5% del valore reale,
pagabile con buoni dello Stato a 20
anni. Le stesse disposizioni valgono
anche per i giornali». Milagros è un
fiume un piena: «Perfino il baseball
diventa di competenza del governo
centrale, come le scuole, i seminari e
ogni tipo di culto: tutti i sacerdoti
stranierisarannorispediti a casa.La
carta di identità sarà sostituita da
un nuovo documento, rilasciato a
discrezione dello Stato. Chi ha firmato
petizioni contro la rivoluzione
non ne avrà diritto». Tradotto,
la “morte civile” per ogni
dissidente. Chi pensa a come
fuggire, sappia che il rilascio del
passaporto sarà monitorato da
“consulenti” cubani. Caracas potrebbe
presto portare il nome di
"Culla di Bolìvar e regina del mare
fatto terra"; anche se Chávez, citando
il padre della patria (vedi
tabella), rischia l’autogol.


VA A PROHIBIR LA MINIFALDA, EL LOCO SIGUE CON SU DICTADURA ESTUPIDA E INUTIL.
Potrei scrivere un nuovo romanzo, ma questa volta non lo farei erotico, mi sono un po’ stufato di parlare sempre di tette e culi, adesso ci s’è messo pure Senel Paz a scrivere romanzi erotici, teneri, comici, ma erotici, dopo Fragola e cioccolato lui è diventato una gloria nazionale, il primo cubano a parlare bene dei froci che poi li hanno messi anche in un film. Di froci ne ho parlato pure io, un po’ di tempo fa, ho scritto una roba intitolata Le confessioni di un omosessuale e me l’hanno pubblicata in Italia con un titolo strano, Machi di carta, devo ancora capire cosa vuol dire, ma contenti loro contenti tutti, diceva mio nonno quando sentiva Fidel Castro in televisione dire che le cose andavano bene e lui mica se ne rendeva conto. Insomma, dicevo che potrei scrivere un romanzo, ché il protagonista ce l’ho bell’è pronto, si chiama Hugo, in arte Meo Porcello, di mestiere fa l’aspirante dittatore di una specie di stato bolivariano, per ora dice un sacco di cose di sinistra, parla di riforma agraria, promette la terra ai contadini, nazionalizza, tutto per il radioso futuro della nazione che governa. Un protagonista così per un romanzo mica ce l’ho mai avuto, altro che jineteras e turisti italiani che scopano, questo è un mix geniale di coglioneria gratuita e populismo spicciolo, umorismo involontario e rivoluzione a tempo perso, questa è la volta buona che scrivo un romanzo coi controcazzi! Meo Porcello lo descrivo un po’ grassottello e con la faccia da scemo, tipo che quando ride sembra un maiale con il faccione rosa, gli metto una verruca in viso, lo faccio parlare per un po’ d’ore di rivoluzione bolivariana, lo addestro come fomentatore di masse e nuovo vessillo per una sinistra povera di sogni. Lo voglio duro e puro, come Fidel prima maniera, lo mando al capezzale del malato a rinforzare una rivoluzione morente, ché tanto per il futuro ci penserà lui, il vecchio comandante può morire tranquillo. Meo Porcello, sarà un personaggio di rottura con la vecchia forma del romanzo, lo voglio realistico ma surreale, tipo Bianconiglio nel Paese delle Meraviglie. Basta con tutte quelle pippe tipo la letteratura nasce dalla polvere della strada, la narrativa deve scavare nelle ferite della storia, lo scrittore deve scrivere con il sangue. Eccheccazzo! Mica sono il conte Dracula. Mica sono Cabrera Infante. Sono soltanto Alejandro Torreguitart e non resterò nella storia della letteratura cubana, questo è certo. E allora lasciatemi divertire.
Il mio personaggio cambierà il tempo della repubblica bolivariana, tanto per far capire che può fare proprio tutto, soprattutto il bello e il cattivo tempo, una sorta di profeta in terra del martire Bolívar, per il momento lo modifica, poi vediamo cosa succede. Una mezz’ora avanti alle lancette dell’orologio e via tutti i bolivariani a lavoro allegri e contenti, ché nelle repubbliche tropicali si lavora poco, fa troppo caldo. Ma non basta, il mio personaggio realsurrele deve inaugurare una nuova stagione del romanzo sudamericano, basta con il realismo magico ché Carpentier c’avrebbe scassato le palle, è tempo di inaugurare una nuova corrente: l’irrealismo immaginifico, stile l’immaginazione al potere, governare con fantasia e sparare cazzate a più non posso, così il popolo si diverte e non pensa.
Meo Porcello lo voglio sempre pronto a dirne una nuova, come Fidel quando era nei suoi cenci, come ai tempi delle super vacche che producevano più latte e delle mega raccolte di canna che da quanta ne tagliavi ci potevi dolcificare il Terzo Mondo.
Magari un giorno si sveglia e cambia nome a Caracas, ci pensa un pochino e poi dice: “Cazzo, Caracas è Caracas, qui c’è nato Bolívar, mica Elpidio Valdés! Bisogna fare qualcosa ché una capitale che si chiama Caracas mica mi piace. Cosa cazzo vuol dire Caracas? Ogni volta che ci penso mi vengono a mente le brasiliane, ché a me quei culi sodi delle brasiliane me lo fanno venire duro, mica queste mostriciattole di bolivariane… E poi basta pensare che mi fa male, come dice Fidel quando mi spiega come si fanno le rivoluzioni. Sono un bolivarista e devo agire. Caracas è un nome del cazzo e io lo cambio. Ecco, da domani la chiameremo Culla di Bolivar (ché lo avranno messo in una culla da piccino pure se era un libertador, no?) e Regina del Mare fatto Terra. Sì, questo è proprio un bel nome, mi ricorda la storiella che raccontava la balia quando mi addormentava, quella della tribù che offende la Dea del Mare, lei s’incazza, ma alla fine le preghiere salvano il villaggio e l’onda diventa una montagna e protegge la città”.
Meo Porcello el libertador, lo voglio intitolare questo romanzo. Sì, mi piace proprio come idea, oppure Meo Porcello nel paese bolivarista, tanto per far capire il lato comico e immaginifico, una cosa che ricordi la storia di Alice e Bianconiglio. Molte avventure mirabili attendono il mio personaggio, sogni epocali di cambiare la costituzione e renderla bolivarista, magari diventandone presidente dai mandati infiniti, aumentare le ore lavorative a un popolo fiero, annientare l’opposizione anti-patria (tutta gente così poco bolivarista) creando una banana republic socialista, dove socialismo significa regno di Meo Porcello, presidente che lavora per il popolo. Il mio protagonista non pone limiti alla fantasia, prende la bandiera dello stato bolivariano e la modifica, ci aggiunge una stella, ché sette gli sembravano poche, meglio abbondare. Lo stemma nazionale non gli piace, ché non si è mai visto un cavallo socialista guardare a destra. “Girategli la testa a quel cazzo di cavallo, che diamine! Siamo qui per fare la rivoluzione, mica possiamo dar retta a un cavallo sovversivo…”, grida. Hugo potrebbe nominare senatore il suo cavallo, ma non sarebbe un’idea originale, l’ha già avuta Caligola un po’ di tempo fa. Il mio personaggio deve fare solo cose nuove, altrimenti chi legge dice che copio e mica va bene. Che personaggio ho trovato, ragazzi! Non ho mai avuto materiale così abbondante da elaborare, neppure quando il Granma esce in edizione speciale e parla di imperialisti, rivoluzione solida e forte, eroi prigionieri dell’impero, un mondo migliore è possibile, non si deve vivere per avere e palle simili. Hugo è un comico naturale, un talento puro, uno che Cantinflas non gli allaccerebbe nemmeno i calzari. A me basta leggere quello che dice e rielaborare. Non è mai stata così facile la vita di uno scrittore. Da oggi niente sesso, siamo avaneri. Da oggi faccio satira. Eccheccazzo! Dimenticavo, voglio cambiare nome al posto dove vivo. Da domani non mi cercate a Luayanó, ché questo quartiere va ribattezzato, così non rende bene l’idea, che cazzo vorrà mai dire Luyanó, sembra un nome reazionario, si chiamava così pure ai tempi di Batista. Da domani vivo nella Culla di Torreguitart e Regina del Mare fatto Miseria Profonda e Disperazione, altro che rivoluzione bolivarista…

Alejandro Torreguitart

septiembre 01, 2007

Giovane papà: - per oggi amo tutti-




Cari Giornalisti, Direttori, Uomini e Donne,oggi è quel giorno che Tutti Vi Amo. Mi accade questo perchè finalmente dopo 5 anni (agosto 2002) di dura lotta (anche legale) trascorrero' la prima vacanza decorosa (15gg) con mia figlia. Vi sembrerà una cosa banale ma io ne sono felice e orgoglioso. In Italia c'è ancora molto da fare per milioni di figli e padri che per motivi culturali, politici e giuridici, non hanno la possibilità di un "rapporto completo, sano e reciproco" come dovrebbe. Il troppo silenzio di media e tv ci fa capire come non ci sia la percezione del problema della "paternità" e quindi è come se non esistesse. Ahime oramai anche altre importanti questioni (la giustizia per esempio) sono messe spesso in secondo piano per privilegiare cose più futili o egoistiche. In particolare non si comprende come una buona paternità (oltre che realizzare la felicità di milioni di persone, uomini e figli e già questo non è poco) apporterebbe un miglioramento sociale su tutti i piani, senza contare l'apporto su problemi tipo bullismo, microcriminalità, scolarizzazione dove oggi si inizia a comprendere che la mancaza della presenza paterna è spesso una delle cause.Ringrazio tutti quelli che pubblicheranno questa lettera. Mi auguro che in futuro media, tv e giornali possano dare un dignitoso risalto al problema del recupero di una sana paternità, paternità come valore, come educazione, cura, rispetto, paternità come gioia.
Giovane papà
Si caro giovane papà, gioiamo con te! Ci sono padri mediocri e moltissimi padri 'veri', che sono la maggior parte. Si rassegnino, quelle donne che non riescono a sopportare l'idea che alcuni padri sono 'super'.
Un abbrazzio
CdF