[Cosmo de La Fuente]
Quali siano i motivi per cui una mente venga colta da raptus di follia e scateni l’ira omicida di una persona, non ci è dato saperlo ma, se riflettiamo un po’,possiamo almeno provare a dare delle risposte e scovare delle motivazioni che ci aiutino a non dover guardarci intorno terrorizzati in attesa che qualcuno, improvvisamente, imbracci un’arma per ucciderci.
Se andiamo a ritroso nella vita di chi ha ucciso, osservando gli eventi della sua esistenza, potremmo rimanere stupiti dal fatto che si tratta, in apparenza, di una persona cosiddetta ‘normale’ e che parecchie sue abitudini, usi e costumi sono del tutto simili ai nostri. Non siamo allora di fronte a un mostro che uccide per il solo piacere di farlo alla stregua di ‘Jack lo squartatore ’ e, se fino ad oggi abbiamo provato a cancellare dalla memoria gli omicidi più odiosi considerandoli una sorta di prodotto di deformazioni mentali dell’uomo e che quindi non potranno mai sfiorarci, abbiamo sbagliato. E’ giusto inorridire di fronte a tali atti ed è anche sacrosanto condannarli, dall’altro è equanime porsi delle domande per tentare di capire se qualcosa o qualcuno abbia contribuito ad armare una mano assassina, una specie di mostro occulto che ha lavorato insieme al mostro di cui già conosciamo l’identità.
Questa volta non voglio parlare di quelle mamme che, per motivi ancora sconosciuti, hanno assassinato i propri bambini, anche perché trattandosi di madri siamo pronti ad avere, almeno per una frazione di secondo, un intenerimento di fronte alla donna che riteniamo vittima di chissà quale vita disastrata , costellata di frustrazioni che hanno intorbidito ,addirittura, l’indiscusso amor di madre costringendola ad uccidere i propri figli. Siamo talmente inquadrati sul matriarcato che riusciamo, anche dopo un atto del genere, a comprendere il dolore che possa provare una mamma assassina, quasi come se il killer fosse un’altra persona.
Voglio parlare solo di un caso, anche se ce ne sono moltissimi, un fatto di cronaca nera che, secondo me, è un po’ l’esempio di come la mente umana non riesca, a volte, a non valicare il confine tra il giusto e l’ingiusto.
L’assurda e l’infinita penalizzazione nei confronti del padre è la concausa per cui molti uomini ricorrono ad atti estremi come il suicidio e, nei casi peggiori, all’omicidio. Antonio, ormai in carcere da tre anni perché condannato all’ergastolo, mi ha chiesto di aiutarlo a stilare e pubblicare la sua lettera di richiesta di perdono. Ha capito di aver sbagliato perché non solo ha tolto la vita a tre persone ma ha, in un certo senso, rovinato per sempre quella del suo bambino, in nome del quale, dice, si era vestito d’assassino. Colpevole lo è, lo sappiamo tutti, ed è giusto che paghi. Mi domando se per caso in questa triste vicenda esiste qualcuno, che, sfruttando la continua penalizzazione del padre, ha contribuito a consolidare questo stato di frustrazione favorendo questa strage annunciata. Se, come si sostiene, Antonio aveva già delle turbe psichiche, non sarebbe stato più giusto non fargli arrivare quel giorno un fax con il quale gli veniva comunicato l’avvio della pratica di perdita di paternità? Se sei di fronte a un individuo soggetto a debolezze psicologiche non è meglio non esasperarlo? Antonio deve pagare, lo sa anche lui. Da dietro le sbarre, dopo aver letto alcuni miei pezzi dove parlo dell’amore di padre, si è messo in contatto con me. Se oggi parlo di lui è per via di un suo specifico desiderio, di una sua supplica,quasi come se fosse l’ultima sigaretta di un condannato a morte. Non mi sono buttato a capofitto sulla sua storia, so perfettamente che è una brutta vicenda che non viene accettata dall’opinione pubblica, ma, allo stesso tempo, ho pensato che avrei potuto accontentarlo nel suo umano desiderio e che potrebbe servire da monito ad altri. Antonio è colpevole, ha tolto la vita a una madre e ad altre due persone, deve pagare. Riusciamo insieme a scovare dove si celi l’altro mostro? Quello che non si vede, quello che ha sguazzato nel mare dell’indifferenza. Cosa ne pensate? Che nome e che faccia ha il mostro occulto?
Ho voluto che fosse proprio Antonio a parlare, ho soltanto modificato, dopo averglielo domandato, alcune frasi che risultavano leggermente contorte e quindi di non facile comprensione. La lettera che segue è quella di Antonio Faccini, l’ex carabiniere che alcuni anni fa ha ucciso tre persone: la suocera, la moglie e il suo nuovo compagno.Il soggetto conteso era un bambino di tre anni.
Cari direttori, redattori e giornalisti, che vi occupate d’informazione e intrattenimento, che spesso sbattete il mostro in prima pagina, vogliate gentilmente leggere questa mia lettera. Vi supplico di leggerla e,se potete, di calarvi nei panni di un uomo che prima di diventare assassino è stato una persona come voi.
Vi prego di leggere le mie parole e quelle di Cosmo de La Fuente. Se qualcuno vuol farmi sapere qualcosa può rivolgersi a lui, sarà più facile interagire.
Vogliate pubblicare questa mia riflessione e questa mia richiesta di perdono.
Vi ringrazio di cuore,
un mostro…un padre
Antonio Faccini
[antonio]
Caro Cosmo de La Fuente, sento di non aver il diritto di parlare ma credo che soltanto un padre ‘normale’ come te, che ha raccontato della sofferenza di uomini separati dai propri figli, che ha espresso con sensibilità il sentimento maschile senza timore di venire sbeffeggiato e senza pudore, possa capire, almeno in parte, quale sia il mio perenne calvario. Ho pianto quando hai parlato dell’amore che ti lega ai tuoi genitori e di quello per tua figlia. Ora, che ti scrivo da tempo, mi rivolgo a te e ti chiedo di aiutarmi ad esternare quella parte di me di cui nessuno parla. Solo tu puoi farlo. Anche un mostro può amare.
Il mondo mi definisce ‘mostro’, me lo sono chiesto anch’io milioni di volte se lo sono e tale mi sono sentito. E’ tardi ormai, ma ho preso coscienza del gravissimo errore che ho commesso. A qualunque assassino viene concesso di parlare, vorrei soltanto che il mondo sapesse che in fondo non sono un demonio ma un debole che, colpito da disperazione, ha ucciso tre persone.
Chiedo perdono al mondo per quello che ho fatto ;chiedo perdono alla mamma di mio figlio, alla donna che ho amato e dalla quale non sono riuscito ad accettare l’improvvisa decisione di negarmi per sempre quella creatura frutto del nostro amore; chiedo perdono in ginocchio, soprattutto, al mio cucciolo che forse non saprà mai quanto l’amo.
Ho quasi 41 anni e per 20 ho servito l’Arma dei Carabinieri. Dal 2003 sono in carcere per il grave errore che ho commesso. So di meritare la condanna che mi è stata inflitta, non mi spaventa aver perso la libertà, è giusto che sia così. Quello che mi spaventa è il dolore per non poter mai più vedere mio figlio.
Caro Cosmo, prima di arrivare all’orrendo fatto, ho chiesto aiuto a tutti, anche ai magistrati, ma nessuno è riuscito ad aiutare un padre che non voleva perdere definitivamente il proprio figlio. Perché, da sempre, una donna ‘violenta’ viene perdonata e un uomo definito tale viene marchiato a fuoco? Almeno come carcerato condannato vorrei essere trattato come le donne carcerate per reati simili perché a loro viene concesso almeno di vedere i propri figli.
Preferirei la pena di morte se, anche per solo dieci minuti, potessi vedere il mio bambino, carezzare le sue guance.
Tu che ti rivolgi come padre mi fai emozionare, nel mio petto batte un cuore .
Mia moglie era bellissima, proprio come mio figlio, ci siamo conosciuti nel 1986, l’ho sposata nel 1991, quel giorno eravamo radiosi: lei meravigliosa e io vestito in alta uniforme. Eravamo talmente innamorati che nemmeno l’ostruzione fatta dalle nostre rispettive madri era riuscita a scalfire il nostro sentimento. Nel 1999 è nato il nostro bambino Alessandro. La felicità dura poco, lo so, ben presto la mia adorata moglie s’innamorò del figlio di un’amica di sua madre e andò a vivere con lui. Qui sono cominciati i problemi, nei pochi momenti che riuscivo a vederlo il bambino mi diceva che aveva un nuovo papà e che lo picchiava quando faceva la pipì a letto. Il mio rancore diventava sempre più grande ma soffrivo in silenzio.
Già prima che mia moglie se ne andasse avevo cominciato ad avvertire che qualcosa non andava. Lo capivo dal suo comportamento e dalle parole di mia suocera che, quando mi parlava al telefono, mi trattava duramente e si rivolgeva a me con tono ironico. Stavano studiando come togliermi il bambino e non farmelo vedere mai più. Quando ne parlai con mia moglie, che ancora viveva con me, mi disse di non credere alle parole di sua madre.
La mamma di mia moglie continuava a dirmi che prima o poi sua figlia sarebbe tornata da lei e che si sarebbe presa anche il bambino. Mi odiava. Avevo solo il conforto di convivere con il piccolo che mi adorava, che piangeva quando doveva allontanarsi da me anche per pochi minuti.
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Mia moglie lavorava in ospedale , quando rientrava a casa non mi guardava nemmeno e un giorno seppi che ne aveva un altro. Accettai anche questo fintanto che non mi comunicò che se ne sarebbe andata da sua madre portandosi il bambino e che non me lo avrebbe fatto più vedere perché, mi disse: “i figli, tanto, restano sempre con la mamma”. Solo l’idea di non vedere mai più il bimbo mi sconvolse e per un anno non feci che piangere. Per diciotto mesi rimasi in cura psichiatrica, non riuscivo ad accettare il distacco da mio figlio, ma questo, in tribunale, non contò nulla. Nemmeno nel processo a mio carico con l’imputazione di omicidio.
In tribunale, quando si parlava di affidamento esclusivo, persi la calma e mostrai la mia parte peggiore: mi arrabbiai, urlai e minacciai che se mi avessero allontanato dal bambino avrei perso la testa.
Vedevo mio figlio ogni quindici giorni e quando era il momento di riportarlo dalla madre, che viveva col suo compagno e mia suocera, piangeva disperato e mi diceva: “papà non portarmi da loro, mi picchiano”. Il mio cuore era gonfio di tristezza e un giorno che lo accompagnai a casa mi nascosi nella legnaia per vedere cosa succedeva e scoprii inorridito che la nonna lo picchiava con un cucchiaio di legno. Decisi di non intervenire per evitare altri problemi. Due giorni dopo, però, lo portai in ospedale, ma il referto sparì.
Il 19 marzo 2003, grazie ad un’ordinanza del Giudice, al bambino venne concesso di stare con me per il giorno del padre, ma mia moglie era arrabbiata e al telefono mi disse: ‘goditelo pure, presto non lo vedrai più’. Mi disse che avrei perso la Patria Potestà e cose del genere. Non volli discutere, anche perché ero felice di stare una giornata con mio figlio.
Il 2 Aprile ricevetti un fax con il quale mi si comunicava che avevano intrapreso la pratica per togliermi la Patria Potestà, pensai a un ‘pesce d’aprile’. Telefonai a mia moglie che mi confermò tutto, aggiungendo che suo figlio aveva oramai un altro padre migliore di me. Non so descriverti cosa provai, urlai e piansi ma sentii il bisogno di andare da mio figlio e senza nemmeno riuscire a ragionare, corsi a prendermelo senza dimenticare, ahimé, di portarmi la pistola.
Quando quella porta si aprì il bambino corse da me e si allacciò alla mia gamba, ero disperato e non ci pensai due volte a esplodere un colpo contro mia suocera, l’uccisi. Tentai di uccidere anche mio cognato ma non riuscii a centrare il bersaglio. Andai in camera trovai mia moglie col suo compagno e uccisi anche loro. Tolsi la vita alla donna che avevo tanto amato e che non capivo come poteva infierire su di me in questo modo.
Scappai con mio figlio e lo portai a casa di mia sorella ad Almese e poi, senza fare resistenza alcuna, mi costituii ai colleghi carabinieri di Rivoli.
Cosmo, anche tu penserai che sono un mostro, ma ti giuro che chi mi conosce non può credere che io abbia commesso un crimine così grande. Sono colpevole, non intendo sottrarmi a questa colpa né cercare pietà in quanto assassino. Voglio soltanto che tutti sappiano che credevo di essere un uomo normale, che desiderava poter continuare ad amare il proprio figlio e se io sono colpevole di aver commesso quel brutto delitto, un po’ di colpa ce l’ha anche la parzialità del nostro sistema che mi ha vietato di essere padre.
Vivo nella speranza di poter rivedere mio figlio per qualche minuto, spero che Dio voglia concedermi il suo perdono. Chiedo perdono a mia moglie, alle persone che hanno sofferto per causa mia e a tutti gli italiani che hanno sentito attraverso i media che un loro connazionale ha commesso un crimine di questo tipo.
Perdonatemi se ci riuscite. Amo mio figlio con tutto il mio cuore e sogno, dalla croce del mio dolore,di poterlo vedere ancora. Chiedo a te di diffondere la mia lettera e che, usando la tua sensibilità ed espressività, tu possa riuscire a trasformare in parole quello che sono. Le tue parole spesso mi hanno lenito il dolore che provo e il rimorso che mi attanaglia. Grazie a te Cosmo, grazie a chi vorrà rendere pubblica questa lettera, così com’è, come un ultimo grido d’amore di un individuo che ha sbagliato.
Antonio Faccini
[cosmo]
Riflettiamo su quanto accaduto. Nessuno mai deve arrogarsi il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano e se lo fa deve essere punito severamente; nessuno potrà mai accettare che tre vite umane siano state spente dalla mano di Antonio. Comprendo anche il dolore del fratello della moglie di Antonio che, in un attimo, ha perso sia la sorella che la madre. Come padre ringrazio il cielo di non essermi mai trovato di fronte ad una situazione del genere, perché sicuramente non avrei ucciso nessuno, ma non sono sicuro al 100% che non avrei perso il lume della ragione.
Ho ritenuto giusto che Antonio potesse comunicare con questa lettera. Speriamo che il bambino possa dimenticare l’atrocità a cui ha assistito, perché l’unica vittima è proprio lui.
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